Cultura
Disinformazione e Resilienza: elezioni Usa banco di prova per la democrazia
Di Pierguido Iezzi
Nel panorama delle elezioni statunitensi, il fenomeno della disinformazione ha subito un’evoluzione profonda, passando da un elemento relativamente nuovo e sottovalutato nel 2016 a una minaccia onnipresente e strategicamente utilizzata nel 2024. Nel 2016, la disinformazione digitale, pur avendo un impatto rilevante, era in gran parte sconosciuta e imprevedibile; il concetto stesso di fake news, botnet e campagne di manipolazione sui social media era relativamente nuovo per il pubblico e per i principali attori del settore tecnologico e politico.
A distanza di otto anni, nonostante gli sforzi per contenere il fenomeno, il 2024 dimostra come la disinformazione non solo sia ancora presente, ma sia divenuta più sofisticata e radicata all’interno del contesto elettorale, costituendo una sfida ancora maggiore per la stabilità e la resilienza democratica. Nel 2016, le principali piattaforme sociali come Facebook e Twitter (oggi X) erano impreparate a gestire il massiccio flusso di contenuti manipolati che miravano a influenzare il voto degli elettori americani. Studi condotti dalla Oxford Internet Institute e da ricercatori come Kathleen Hall Jamieson – a seguito della tornata elettorale 2016 – hanno dimostrato come le campagne di disinformazione, prevalentemente riconducibili a soggetti legati alla Russia, abbiano avuto un impatto significativo nel creare una narrativa divisiva e polarizzante.
L’uso di bot e account falsi su vasta scala fu uno dei primi segnali d’allarme per l’intervento di attori esterni intenzionati a influenzare la politica interna americana. Tuttavia, all’epoca, le piattaforme digitali sottostimarono la portata e la pericolosità del fenomeno. La disinformazione era vista più come un fastidio che come una reale minaccia alla democrazia, e mancavano politiche strutturate per il contrasto di questi contenuti manipolatori.
Oggi, nel 2024, il contesto è radicalmente diverso: la consapevolezza del problema è alta, sia tra le istituzioni che tra le aziende tecnologiche, e sono stati investiti notevoli sforzi per sviluppare tecnologie di controllo e intervento. Meta (ex-Facebook), Google e altre piattaforme hanno implementato misure avanzate di rilevamento e contrasto, come algoritmi di machine learning per identificare account falsi e contenuti manipolatori, collaborazioni con fact-checker indipendenti e sistemi di avviso per i contenuti sospetti. Tuttavia, nonostante questa consapevolezza e gli strumenti introdotti, l’efficacia di tali misure sembra essere stata solo parziale: la disinformazione continua a evolvere, adattandosi alle contromisure e adottando tattiche sempre più difficili da identificare e neutralizzare.
La persistenza di deepfake altamente realistici, il proliferare di botnet ben organizzate e l’uso di dati personali per indirizzare specifiche fasce di elettori mostrano come il fenomeno sia sfuggito al controllo anche nel 2024.
Uno dei maggiori cambiamenti tra il 2016 e il 2024 è stato l’uso più capillare e preciso dell’intelligenza artificiale per manipolare informazioni e immagini. Nel 2016, le fake news erano in gran parte create manualmente e distribuite in modo relativamente semplice. Oggi, l’IA è diventata un attore chiave nel fenomeno della disinformazione, permettendo la produzione di contenuti falsi a una velocità e con una precisione senza precedenti. I deepfake, ad esempio, sono video generati artificialmente che possono ritrarre personaggi noti in contesti falsi, rendendo estremamente difficile per l’utente medio distinguere tra il vero e il falso. Campagne come “Spamouflage” hanno mostrato come governi stranieri possano ora orchestrare operazioni di disinformazione con una precisione chirurgica, sfruttando la tecnologia per personalizzare i messaggi manipolatori su diverse piattaforme e adattarli a specifici segmenti di pubblico.
Dallo shock alla normalità
Un altro aspetto che differenzia il 2024 dal 2016 è la consapevolezza diffusa tra il pubblico riguardo alle fake news e alla manipolazione digitale. Il 2016 fu un momento di “shock culturale” per molti elettori, che per la prima volta si resero conto del potenziale manipolatorio dei social media. I fatti emersi successivamente sulle interferenze russe nelle elezioni e sui metodi utilizzati per diffondere contenuti polarizzanti portarono a un aumento della consapevolezza su questi temi. Nel 2024, questa consapevolezza è diventata un fattore cruciale, con una maggiore attenzione dei cittadini alla fonte delle informazioni e una diffusa diffidenza verso i contenuti virali.
Tuttavia, ciò non ha impedito alla disinformazione di fare presa: studi recenti indicano che la familiarità con la disinformazione, paradossalmente, ha portato molti elettori a sviluppare una forma di cinismo nei confronti di tutte le informazioni politiche, rendendoli ugualmente suscettibili alla manipolazione. La disinformazione, quindi, non solo persiste, ma in alcuni casi si nutre della stessa diffidenza che ha contribuito a creare. Un’ulteriore differenza sostanziale tra il 2016 e il 2024 riguarda la polarizzazione sociale.
Se nel 2016 la disinformazione ha avuto un ruolo significativo nel creare divisioni ideologiche, consolidando il concetto di “filter bubble”, nel 2024 si osserva un effetto di polarizzazione endemica: la società americana appare frammentata in fazioni con convinzioni radicalmente diverse e quasi impermeabili al dialogo. Questo fenomeno è alimentato dalla disinformazione, che anziché cambiare significativamente le preferenze elettorali, tende a rinforzare le credenze preesistenti, spingendo gli elettori a chiudersi in comunità di pensiero simili. Diversi studi, tra cui quello del World Economic Forum, indicano che le campagne di disinformazione attuali mirano a consolidare le divisioni esistenti piuttosto che cercare di influenzare direttamente le preferenze di voto. La disinformazione del 2024 ha quindi l’effetto di rendere la società ancora più rigida e divisa, consolidando blocchi elettorali che si guardano con crescente sospetto.
Per quanto riguarda la resilienza istituzionale, nel 2016 le elezioni furono una prima grande sfida per il sistema elettorale statunitense, che non era preparato a gestire un’ondata di disinformazione e interferenze cyber così intense. Le istituzioni, colte di sorpresa, si limitarono in gran parte a rispondere alle emergenze senza un piano strutturato. Nel 2024, invece, sono stati introdotti numerosi strumenti preventivi: il Congresso ha implementato normative più stringenti in materia di cybersecurity e protezione dei dati, e gli organi di intelligence hanno rafforzato la loro capacità di monitorare e contrastare le minacce digitali. Tuttavia, nonostante questi progressi, l’efficacia delle contromisure rimane limitata. Gli attacchi DDoS contro i sistemi di registrazione elettorale e i tentativi di hackeraggio dei telefoni cellulari di alcuni candidati, come Donald Trump e JD Vance, hanno dimostrato come gli attori ostili siano ancora in grado di sfruttare vulnerabilità critiche per destabilizzare il processo elettorale. La resilienza istituzionale, quindi, pur essendo migliorata rispetto al 2016, non è ancora sufficiente a contrastare pienamente una minaccia in continua evoluzione.
Il ruolo stesso delle piattaforme digitali nel 2024 è molto diverso rispetto al 2016. All’epoca, i giganti della tecnologia avevano una politica di intervento minima e una posizione relativamente passiva di fronte al problema della disinformazione. La loro principale preoccupazione era evitare accuse di censura, e mancavano di strumenti adeguati a rilevare e contrastare in modo efficace i contenuti manipolatori. Oggi, le piattaforme come Meta, Google sono soggette a un controllo più rigoroso da parte delle autorità e hanno implementato una serie di misure per arginare il fenomeno. Tuttavia, queste misure non sono riuscite a tenere il passo con la rapidità e la sofisticazione della disinformazione.
Le botnet continuano a operare e i contenuti falsi circolano con una velocità che i sistemi automatizzati non riescono a contenere completamente. Il problema della velocità di diffusione della disinformazione rimane un limite insormontabile per le attuali tecnologie di monitoraggio, lasciando aperta la questione di come bilanciare efficacemente la libertà di espressione e la protezione del processo democratico. Se il 2016 è stato il momento di scoperta del fenomeno della disinformazione digitale, il 2024 rappresenta il punto in cui questa minaccia si è consolidata come una sfida strutturale per le democrazie occidentali. Nonostante la maggiore consapevolezza, le misure implementate e i progressi tecnologici, la disinformazione continua a evolversi, rivelando le vulnerabilità di un sistema che, pur essendo più preparato, non è ancora in grado di arginare efficacemente una strategia così flessibile e pervasiva.
Le elezioni del 2024 rappresentano quindi non solo una sfida per la politica americana, ma il test decisivo per la tenuta della democrazia in un’epoca di manipolazione digitale. Oggi, il voto non è solo una scelta politica, ma una prova di resilienza per la democrazia in un’epoca in cui la verità è costantemente sfidata. Capiremo se la democrazia ha superato la prova.