Ma parliamo un po’ dell’opposizione. O meglio, delle opposizioni.
La recente sconfitta in Liguria, l’ennesima di questi 2 anni di Legislatura di marca centrodestra, ripropone il tema di quale potrebbe essere un’offerta politica vincente in vista delle prossime elezioni politiche.
Potrebbe mancare tanto, 3 anni se si arrivasse a scadenza naturale della Legislatura, oppure poco, se il Governo decidesse davvero di imbarcarsi nell’avventura di referendum costituzionali dall’altissimo rischio di coagulazione del dissenso ma, in entrambi casi, al tema non si sfugge.
La grande differenza tra centrodestra e centrosinistra in questi 30 anni di cosiddetta “II Repubblica” è sempre stata la riconoscibilità dell’offerta politica. Ne abbiamo scritto spesso in questi anni di analisi, perché gli orientamenti dell’elettorato risentono anche di convinzioni che si stratificano nel tempo e non soltanto del “caso mediatico” che si crea a 15 giorni dal voto.
Dal 1994 il centrodestra è sempre lo stesso e, quando non lo è stato, ha perso. La lezione della sconfitta alle elezioni politiche del 1996, che videro la Lega andare in autonomia lasciando soli Forza Italia, l’allora Alleanza Nazionale e l’ancora più allora CCD (Casini, Follini, ricordate?), è stata ormai imparata e l’errore mai più ripetuto.
Nel campo opposto, quello del centrosinistra, l’offerta è invece costantemente cambiata, praticamente ad ogni cambio di Legislatura, fatto salvo il ruolo del Partito Democratico e delle sue precedenti denominazioni come pivot della coalizione.
In questo caso, quando tutti si sono coalizzati hanno vinto, ma hanno governato poco o con difficoltà (1996, 2006, 2013); quando si sono divisi, hanno perso (2001, 2008, 2022).
(NB: le elezioni del 2018 fanno meno testo perché videro l’esplosione “storica” di un terzo polo alternativo come il M5S all’apice del consenso).
Finito l’excursus storico, arriviamo ad oggi.
Il PD continua a fare da pivot, ma la volontà ripetuta di costruire una coalizione allargata che tenga dentro tutti gli oppositori del Gov. Meloni sembra apparire sempre di più una mera velleità.
Per volontà dei principali capicorrente del partito, il M5S di Giuseppe Conte è sempre stato considerato l’alleato principale. Corteggiato, vezzeggiato al limite del servilismo, l’ex Presidente del Consiglio veniva considerato l’arma in più per vincere le elezioni e magari governare, grazie al suo profilo “presidenziale” conquistato negli anni della pandemia.
L’incantesimo sembra essersi rotto.
Rotto intanto all’interno dello stesso M5S, che vede ormai l’uscita del fondatore Beppe Grillo e sembra presagire la nascita di un nuovo soggetto politico che ritorni alle origini del Movimento; rotto in termini di consensi, viste le recenti catastrofi delle elezioni Europee e di quelle in Liguria; rotto anche come proposta politica, ormai ridotta ad uno sterile giustizialismo e populismo da “duri e puri”, così come propagandato dall’organo di stampa che ha creato il personaggio politico Conte.
Cosa resta della proposta politica del Movimento? E quale valore aggiunto potrebbe portare al PD?
Domanda che vale anche per Matteo Renzi.
Abile a stringere un inaspettato rapporto di vicinanza politica con Elly Schlein, l’ex Premier può sicuramente portare un importante contributo tattico nelle dinamiche parlamentari ma, a livello di consenso elettorale, quale potrebbe essere il valore aggiunto? Un ipotetico cambio di alleanze che vedesse l’uscita di Conte e l’ingresso di Renzi, sarebbe un passo in avanti verso la vittoria o un passo indietro verso un’altra sconfitta? E davvero potrebbe essere il Sindaco di Milano, Beppe Sala, l’aggregatore di un soggetto politico nuovo che occupi il centro del centrosinistra? Mah.
Elly Schlein sta sicuramente contribuendo a costruire un PD diverso dal passato, a cambiarne l’immagine verso istanze che si avvicinano di più alla contemporaneità del suo elettorato, ma da qui a definirla una competitor “Presidenziabile”contro Giorgia Meloni ancora ce ne passa. E comunque da sola non potrebbe farcela, motivo che rende la costruzione dell’alleanza ancora più ineludibile.
Ne parleremo ancora e tanto, a cominciare dal voto in Umbria del 17 e 18 novembre.