Politica
Si chiama “dossieraggio” o “ricatto”, non “violazione della privacy”
Di Daniele Capezzone
Nell’era dell’eufemismo, della litote, dell’attenuazione come modo di pensare più ancora che come modo di esprimersi, la triplice vicenda di Striano, del bancario pugliese e ora della società milanese viene generalmente classificata come “violazione della privacy”.
Piccolo dettaglio: si tratta di capire lo scopo di quelle violazioni. Altrimenti, se ci limitiamo all’atto dell’intrusione in una banca dati, rischiamo di non vedere il cuore del problema.
E allora chiamiamo le cose con il loro nome. Nei tre casi, naturalmente se le accuse saranno giudiziariamente provate, si dovrà parlare di “dossieraggio” e di “ricatto”, cioè di operazioni volte non solo ad acquisire abusivamente informazioni riservate, ma a usarle per colpire il malcapitato di turno.
Prima ipotesi: per raccogliere materiale compromettente su di lui. Seconda: per farne uso giudiziario o di sputtanamento mediatico. Terzo: per ricattarlo e indurlo a più miti consigli. Quarto: per danneggiarlo privatamente o professionalmente.
Sarà bene cominciare a non farci distrarre da una discussione defocalizzata. Altrimenti sarà un gioco da ragazzi – per troppi – derubricare la faccenda a una questione di regolette e di buone pratiche di cybersecurity (pur utilissime), lasciando nell’ombra gli obiettivi criminali di chi ha agito.
Giusto preoccuparsi dei mezzi, ancora più giusto preoccuparsi dei fini di certe operazioni.