Fill the gap

Adozione, un diritto tra veti e cavilli. L’impegno di Fatima Sarnicola

21
Ottobre 2024
Di Gaia De Scalzi

In Italia la gestazione per altri è diventata reato universale. Sebbene fosse già considerata illegale nel nostro Paese, le pene si sono di fatto inasprite. Insomma, da oggi gli italiani che ricorreranno a questa pratica all’estero saranno esposti a procedure giudiziarie.

Non entreremo nel merito della questione, anche se ci sarebbe molto da dire. Non alterneremo giudizi positivi a pareri negativi ma c’è una considerazione su tutte che ci ha fatto riflettere. Quindi facciamo un passo indietro. Tempo fa, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Eugenia Roccella, Ministra per le Pari opportunità e la famiglia, disse: «In Italia si diventa genitori solo in due modi, o per rapporto biologico o per adozione».

E da qua riprendiamo. Nel mondo, secondo l’Unicef (anche se gli ultimi dati disponibili risalgono al 2011), i bambini orfani sono circa 150 milioni. Nel nostro Paese, i minori senza famiglia, dovrebbero essere più o meno 35mila, a cui si aggiungono circa 400 neonati abbandonati ogni anno. Diciamo dovrebbero perché, anche qui, non esiste un censimento ufficiale, così come non esiste una banca dati prevista dalla legge per collegare i 29 Tribunali minorili. Difficile a credersi ma tant’è.

Ma andiamo avanti. Sapete quanti bambini sono stati adottati quest’anno?

«Anche se il 2024 non si è ancora concluso, le domande accolte sono state poco sopra le 200 adozioni contro le 440 del 2023. Insomma, le richieste sono tantissime ma alla fine solo poche vengono evase».

A scattarci questa triste fotografia è Fatima Sarnicola, fondatrice della prima rivista dedicata alle adozioni, AdoptLife. Ventiseienne, di origini lituane e, come racconta lei, quando a 8 anni arrivò in Italia «nella valigia non avevo vestiti ma traumi».

L’adozione è stata la sua rinascita, un dono. Non solo per lei ma anche per sua sorella Anna, che di anni all’epoca ne aveva solo due.

Adesso dirige un magazine con 20mila iscritti grazie a una redazione composta da 17 volontari tra avvocati, psicologi ed esperti. La pagina AdoptLife conta 10mila follower e continua a crescere. Ma non è stato tutto rosa e fiori.

Entrambi i genitori biologici alcolisti, la madre che si prostituiva e che ha dato alla luce almeno 15 bambini (tutti di padri differenti, sottolinea), le violenze sessuali a 5 anni architettate da una sorellastra, il bullismo subito nelle scuole italiane. Sembra impossibile che Fatima non sia mai crollata.

«Non è stato semplice, però l’unione della mia famiglia mi ha permesso di guardare avanti. Anche se mia mamma me lo proponeva di continuo, non ho mai sentito il bisogno di affrontare le mie paure con uno psicologo. Avevo i miei genitori accanto che mi ascoltavano. I compagni mi deridevano per come parlavo, mi chiamavano “orfanella”. Ma mamma e papà avevano sempre la parola giusta da dirmi. Nei giorni più complicati papà mi veniva a prendere prima all’uscita e mi portava a mangiare la pizza».

Bullizzata non solo dai compagni ma persino dai loro genitori e dagli insegnanti.

«Una volta una mamma disse che ero troppo bionda per assomigliare ai miei, un’altra volta un professore alle medie, mentre leggevamo Oliver Twist, se ne uscì con questa frase: “Tu puoi capire questa storia perché anche lui è stato orfano”. Da lì l’inferno perché i miei compagni non conoscevano la mia storia. E ancora, al liceo, dopo che imparai il libro di biologia a memoria, il l’insegnante di scienze tuonò: “Tu queste cose non le puoi capire”. E intanto mi sto per laureare in biologia; una bella soddisfazione!».

Hai mai cercato i tuoi parenti biologici?

«No, sono loro ad aver trovato me. Ad un certo punto ho iniziato a ricevere delle lettere. Non dirmi come hanno fatto ad avere il mio indirizzo di casa perché questo rimarrà un mistero. Volevano che ritornassi in Lituania. Quando ho compiuto 18 anni ho chiesto alla mia attuale e unica famiglia di passare un week-end a Firenze. Sai perché? Perché i miei parenti biologici mi avevano minacciata di portarmi via dall’Italia, e io non volevo che ciò accadesse. Tramite i social network ho iniziato, poi, a essere contattata da alcuni miei fratelli, molti sparsi per il mondo. Sto ancora cercando di ricostruire il mio albero genealogico».

Fatima, come mai in Italia le adozioni che arrivano a buon fine sono così poche?

«Partiamo con il dire che siamo fermi alla legge 184 del 1983. I tempi sono troppo lunghi, mediamente parliamo di tre anni, sia per le adozioni nazionali sia per quelle internazionali. Le seconde poi sono praticamente bloccate. Ad esempio la Lituania tra il 2012 e il 2103 permetteva l’adozione internazionale, adesso non più. Così come Ucraina e Russia, dove i corridoi sono fermi per i conflitti. La Norvegia ha sospeso le adozioni internazionali fino al 2025. Ogni paese ha regole e meccanismi differenti».

Ok, ma a livello nazionale, cosa accade?

«Guarda, uno dei temi che spingono ad abbandonare l’iter – oltre alle lungaggini burocratiche – riguarda la famiglia d’origine. Molti di questi bambini e ragazzi vengono affidati alle case famiglia quando i genitori biologici sono ancora in vita. Vengono allontanati perché, come nel mio caso, vivono in condizioni disagiate. Questo spaventa l’80% dei richiedenti. Parliamo di bambini spesso maltrattati, con problemi psico-comportamentali. Bambini che un domani potrebbero voler ripristinare un rapporto con i familiari d’origine».

Ed è sbagliato?

«Un giorno quel bambino si chiederà da dove viene, perché non assomiglia al proprio papà o alla mamma. Crescendo acquisirà una maggiore consapevolezza. La verità, prima o poi, viene a galla. Lo dico con cognizione, lo dico perché sono anni che mi occupo di adozioni. Ogni bambino ha il diritto di conoscere la propria storia, con mia sorella è stato così; anche se quando fu adottata aveva solamene due anni».

Fatima, se avessi una bacchetta magica, cosa cambieresti?

«Accorciare i tempi per le adozioni, consentire l’accesso anche alle coppie gay e ai single come in Grecia. Ah, e sostenere nelle scuole il bilinguismo. I bambini stranieri ricordano la loro lingua d’origine, sarebbe bello non disperdere questo patrimonio».

Ok, il terzo desiderio mi pare un’utopia considerando che abbiamo difficoltà a inserire bene l’inglese nei programmi scolastici…

«Vero anche questo. Allora facciamo così: vorrei che venissero rispettate le linee guida che attualmente vi sono per tutelare i ragazzi adottati. Quelle che nessun professore si è sincerato di adottare nei miei confronti. Non dico che bisogna introdurre l’adozione come materia ma sensibilizzare la comunità scolastica sul tema sì, questo affinché bambini come me non si debbano sentire fuori luogo. La scuola, in fondo, è come una seconda casa e, pertanto, dovrebbe essere accogliente come quella che per me e mia sorella ha rappresentato una nuova e bellissima vita».

Fatima sogna di diventare una ricercatrice oncologica ma l’attivismo per semplificare l’iter delle adozioni resta comunque la sua priorità, e per farlo non esclude di avvicinarsi alla politica. Se è vero che adottare un bambino non cambierà il mondo, è altresì vero che adottarne uno cambierà il suo di mondo, così com’è stato per Fatima. E chissà che un giorno Fatima non lo cambi questo mondo.