Politica
La fragilità delle coalizioni è l’unica certezza del pre-voto
Di Redazione
In settimana la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affrontato il ricorso presentato da Silvio Berlusconi contro la legge Severino, la norma approvata dal Governo Monti nel 2012 che impedisce al leader azzurro la candidatura alle prossime elezioni politiche.
Come è noto, Berlusconi punta a ottenere un giudizio in tempi rapidi per usare l’eventuale assoluzione in campagna elettorale e presentarsi alle elezioni come il candidato ufficiale del centrodestra a Palazzo Chigi. In alternativa non mancherà di sostenere l’alleanza FiLn-Fdi, anche se la storia degli ultimi vent’anni insegna che un Berlusconi pienamente operativo potrebbe spostare ancora una volta equilibri elettorali a oggi apparentemente immodificabili. In realtà il verdetto della Corte non dovrebbe arrivare prima di sei-otto mesi, un fatto che spiega la recente proposta del leader azzurro di organizzare un election day a maggio. L’idea di posticipare il voto e di accorpare politiche, regionali e amministrative non piace agli altri partiti e in primo luogo agli stessi alleati di Forza Italia che, freschi del successo elettorale siciliano, puntano ad andare alle urne il prima possibile.
Che la coalizione di centrodestra sia tutto fuorché compatta lo dimostra anche l’ultima provocazione del segretario leghista Matteo Salvini, con la richiesta di mettere nero su bianco davanti a un notaio l’accordo raggiunto la scorsa settimana con l’ex cavaliere. Il sospetto è che vinte le elezioni con Lega Nord e Fratelli d’Italia e constatato che non sussiste la maggioranza per governare, i forzisti riscoprano lo spirito del Nazareno dando vita a un esecutivo con Renzi volto a escludere populisti e forze di sinistra. Di qui la provocazione leghista. In realtà Forza Italia non ha nessuna intenzione di abdicare al (probabile) ruolo di forza pivotale del sistema ora che il suo fondatore e leader è tornato al centro della scena politica italiana e preso atto delle continue difficoltà in cui si agita il Pd renziano.
A sinistra si registra infatti il prevedibile fallimento della missione diplomatica condotta da Piero Fassino presso Mdp, Si e Possibile di Civati. Così, nonostante l’accordo con Pisapia e l’appoggio di alcune schegge dell’area centrista che fu, la coalizione a guida Dem pare destinata a rimanere un’incompiuta. A peggiorare le cose ci sono, da un lato, Bersani e D’Alema a fungere da magneti per gli elettori che non si riconoscono più nel partito guidato da Renzi; dall’altro, le flebili speranze del Pd di conquistare collegi al Nord e soprattutto in Sicilia, condicio sine qua non per dare la scalata a Palazzo Chigi. Visto dall’ottica della segreteria Pd, il ritorno di Berlusconi può essere allora determinante ad arginare la crescita di consensi del M5S, partito che attualmente resta la prima forza su base nazionale e che alle ultime tornate ha fatto sempre meglio delle previsioni della vigilia. A ogni modo, a oggi l’unica certezza delle prossime elezioni è che nessun partito sarà in grado di governare da solo e che le coalizioni si caratterizzano più per la loro fragilità interna che per la compattezza. Senza contare i problemi di leadership, a destra come a sinistra.
Alberto De Sanctis