Esteri

Guerre, la strage dei Teledrin in Libano innesca un rischio di escalation

18
Settembre 2024
Di Giampiero Gramaglia

La guerra dei Teledrin, che fa oltre dieci vittime e migliaia di feriti in Libano, segna un brusco rialzo del livello d’allarme per un allargamento del conflitto, in corso da quasi un anno tra Israele e Hamas a Gaza. Hezbollah accusa Israele di avere fatto esplodere i cercapersone dei suoi affiliati, a Beirut e un po’ ovunque, nel Paese dei Cedri. L’esercito israeliano non commenta: non rivendica, ma neppure smentisce. Dagli Stati Uniti, viene una ricostruzione stupefacente: i cerca-persone sarebbero stati ‘minati’ prima di essere consegnati.

L’episodio riporta in prima pagina sui media internazionali i drammi e le insidie mediorientali, dopo una breve parentesi di ‘distrazione’ statunitense. Se il fallito attentato a Donald Trump del 13 luglio, in Pennsylvania, aveva fatto più rumore delle bombe su Gaza e dei missili sull’Ucraina, domenica, in Florida, non c’è stato neppure uno sparo: la presenza, ai margini del campo da golf dove Trump giocava, di un individuo armato di fucile – e probabilmente di cattive intenzioni – basta a catalizzare l’attenzione mediatica di tutto il Mondo.

La guerra dei teledrin rischia di incendiare la Regione
Finché, nella giornata di martedì, è scoppiata la guerra dei Teledrin: non si sa ancora bene come, d’improvviso e all’unisono i cercapersone dei miliziani sciiti pro-iraniani di Hezbollah sono esplosi, a Beirut – specie nella periferia sud della capitale libanese -, nel Sud del Paese, nella valle della Bekaa, ma anche a Damasco e altrove in Siria, dove ci sono pure alcuni morti e molti feriti. Fra le vittime, c’è una bambina; fra i feriti, l’ambasciatore iraniano Mojtaba Amani.

Hezbollah invita i suoi a sbarazzarsi dei congegni, dei Teledrin se non ancora esplosi. Il governo libanese mette in allerta gli ospedali per fare fronte a un flusso di feriti eccezionale.

Gli apparecchi erano in dotazione a dirigenti e miliziani di Hezbollah, il partito armato filo-iraniano che, in appoggio ad Hamas, conduce un conflitto a distanza con lo Stato ebraico: colpisce con razzi il nord di Israele e si espone alle ritorsioni israeliane. Per il movimento sciita, non c’è alcun dubbio: la responsabilità dell’accaduto è israeliana. Ci sarà – annuncia Hezbollah – “una giusta punizione”.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu nega ogni coinvolgimento, ma convoca una riunione d’emergenza tra governo e apparati della sicurezza per valutare il da farsi, nell’eventualità d’una risposta. Diverse compagnie aeree tornano a sospendere i voli verso Israele e l’Iran, preoccupate di una escalation e di un allargamento del conflitto.

Fonti della sicurezza israeliana spiegano che i Teledrin esplosi erano dell’ultimo modello utilizzato dagli Hezbollah e in loro dotazione solo da pochi mesi. Al Jazeera ricorda che i miliziani erano stati invitati a non utilizzare i cellulari, proprio nel timore che Israele potesse infiltrarli e/o hackerarli, ma i cerca-persone, considerati più sicuri, anche se già utilizzati in passato in operazioni terroristiche.

Non è ancora chiaro che cosa abbia causato le esplosioni. Secondo il New York Times, che cita fonti dell’intelligence, l’esplosivo sarebbe stato posizionato vicino alla batteria di ogni dispositivo e attivato tramite un messaggino. La manomissione dei Teledrin, ordinati da Hezbollah alla taiwanese Gold Apollo – oltre tremila esemplari -, sarebbe avvenuta prima che gli apparecchi raggiungessero il Libano.

La maggior parte dei cercapersone ordinati alla Gold Apollo era modello AP924, ma la fornitura includeva anche altri tre modelli. Pare che i dispositivi fossero programmati per emettere un segnale acustico di diversi secondi, prima di saltare. Non è chiaro né quando siano stati ordinati né quando e attraverso quale percorso siano arrivati in Libano; e neppure quando e dove siano stati manomessi. Gli esperti statunitensi parlano di un’operazione di sabotaggio senza precedenti per dimensioni e livello di sofisticazione.

La Gold Apollo nega di avere prodotti gli aggeggi esplosi, che però avevano il suo marchio, e sostiene che sarebbero stati assemblati dalla Bac Consulting Kft, che ha sede a Budapest.

Tra Israele e Hezbollah il culmine della tensione
L’attivazione dei Teledrin è stata decisa al culmine delle tensioni fra Israele e Hezbollah con ostilità transfrontaliere reciproche quotidiane e forti screzi nel governo israeliano sull’opportunità, o meno, di aprire un vero e proprio fronte di guerra al confine con il Libano: il premier Netanyahu vuole farlo; il ministro della Difesa Yoav Gallant è contrario e per questo rischia di essere destituito e sostituito da un esponente dell’estrema destra ultra-religiosa e guerrafondaia.

Nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, le operazioni militari continuano a mietere vittime civili. Nella Striscia, la situazione umanitaria resta drammatica, specie dal punto di vista alimentare e sanitario. Ma Israele considera ora prioritario bloccare gli attacchi di Hezbollah sul Nord del Paese, dove è anche arrivato dallo Yemen un missile degli Huthi non intercettato dalle difese aeree, ma fortunatamente esploso senza fare grossi danni.

L’avvio di un’operazione militare su larga scala non è affatto escluso: la guerra dei teledrin potrebbe esserne il prodromo, rendendo più difficili, e più intercettabili, le comunicazioni fra Hezbollah. L’obiettivo sarebbe quello di rendere più sicuro il Nord di Israele e di consentire agli abitanti che hanno abbandonato le loro abitazioni di farvi ritorno.

Dallo scoppio del conflitto innescato dai raid terroristici del 7 ottobre di Hamas e di altre sigle palestinesi in territorio israeliano, la frontiera Nord di Israele non è mai stata tranquilla: dall’una e dall’altra parte del confine, sono decine di migliaia le persone sfollate. Le incursioni del 7 ottobre fecero oltre 1200 vittime e furono oltre 250 gli ostaggi catturati, un centinaio dei quali sono tuttora trattenuti nella Striscia. La guerra conseguente ha fatto oltre 40 mila vittime palestinesi, gran parte civili, donne e bambini.

Nei giorni scorsi, l’esercito israeliano ha ammesso che tre ostaggi trovati morti in dicembre a Gaza erano stati molto probabilmente uccisi a novembre da un attacco aereo. Il recupero degli ostaggi è uno degli obiettivi di fondo della campagna in corso nella Striscia da quasi un anno, ma potrebbe essere raggiunto in modo più efficace con un’intesa che baratti la loro liberazione con una tregua. Tuttavia, non c’è più fiducia nell’esito dei negoziati tra Israele e Hamas mediati da Usa, Egitto e Qatar, nonostante la presenza diplomatica degli Stati Uniti nell’area resti intensa (e, finora, vana). 

Ucraina, possibili contraccolpi del tentato attentato a Trump
Sul fronte ucraino, le cronache continuano a riferire di attacchi notturni con missili, aerei e droni sulle città ucraine, di modeste avanzate russe nel Donbass, della tenuta della testa di ponte ucraina in territorio russo nell’area di Kursk; il tutto scandito da uno stillicidio di vittime civili. Secondo Politico, i comandanti militari ucraini avevano sconsigliato al presidente Volodymyr Zelensky l’attacco nell’area di Kursk; ma Zelensky diede l’ordine di procedere di andare avanti.  

Adesso, si attende il ‘festival diplomatico’ dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: il presidente intende presentarvi un suo ‘piano di pace’, mentre continua a esercitare pressioni perché i Paesi Nato gli diano via libera all’utilizzo delle loro armi per colpire obiettivi militari sul territorio russi.

Zelensky, tuttavia, deve fare i conti con divisioni in merito nel campo europeo e con la freddezza d’una parte della politica negli Stati Uniti. Gli gioca contro anche il tentato attentato a Trump, perché la persona arrestata è un esaltato sostenitore della causa ucraina e potrebbe avere agito perché, invece, l’ex presidente e i repubblicani sono come minimo tiepidi sull’aiuto a Kiev.

La scorsa settimana, di Ucraina hanno parlato alla Casa Bianca il presidente Joe Biden e il nuovo premier laburista britannico Keir Starmer. Dal loro incontro, non sono però scaturite decisioni sull’utilizzo dei missili a lungo raggio occidentali forniti all’Ucraina per attacchi sul territorio russo.

Biden e Starmer hanno ribadito l’“incrollabile” sostegno all’Ucraina che continua a difendersi dall’aggressione della Russia e hanno espresso “profonda preoccupazione” per la fornitura d’armi letali alla Russia da parte di Iran e Corea del Nord e per il sostegno fornito dalla Cina all’industria russa.

L’Amministrazione statunitense sarebbe incline a dare a Kiev il via libera all’uso di armi occidentali a lungo raggio contro basi russe all’interno del territorio russo, a patto che non siano armi fornite dagli Stati Uniti. Ma le divisioni fra europei, con Londra, ad esempio, incline al sì e Roma del tutto contraria, inducono alla prudenza. Il presidente russo Vladimir Putin – ricorda Politico – minaccia di considerare una mossa del genere un atto di guerra della Nato.

Secondo il Wall Street Journal, il conflitto iniziato con l’invasione russa il 24 febbraio 2022 e che va avanti da oltre 30 mesi, ha finora provocato un milione tra morti e feriti dalle due parti. La cifra deriva da un calcolo del giornale, perché né Mosca né Kiev forniscono dati sulle loro perdite e tendono a sovrastimare quelle del nemico. Spiragli di speranza in un dialogo fra i belligeranti vengono dagli scambi di prigionieri che si sono succeduti nelle ultime settimane: segno che canali di trattativa restano aperti.