Negli scorsi giorni, Mario Draghi ha presentato l’atteso piano per il rilancio della competitività europea. Nel giro di poche ore, osservatori specializzati e commentatori hanno analizzato il corposo documento, valutandone le proposte di policy.
Per quanto l’accoglienza sia risultata ampiamente positiva non sono mancate prese di distanza su alcuni aspetti chiave, a cominciare dai liberali tedeschi, contrari espressamente alla proposta di emissione di un debito comune sul modello del PNRR.
La stessa presidente della commissione europea von der Leyen ha di fatto respinto la proposta di introdurre un debito comune per finanziare progetti europei, nel momento in cui ha detto di preferire i tradizionali contributi nazionali e risorse proprie dell’UE.
Ci auguriamo che questa posizione venga modificata perché il progetto Draghi prevede un piano di investimenti annuali da 800 miliardi di euro per sostenere la competitività dell’UE nel contesto delle transizioni climatica e digitale e delle sfide globali, e sarebbe impossibile basarsi esclusivamente sulle risorse tradizionali.
O viene fuori il coraggio dimostrato per fronteggiare gli effetti devastanti della pandemia con la emissione di titoli di debito che hanno consentito di finanziare il piano di ripresa e di resilienza per settecento miliardi, oppure la strada della lenta agonia è segnata.
La Presidente della Commissione dovrà farsene una ragione: il rapporto di Draghi è una grande opportunità e non può essere affidato a misure di pura deregulation.
Il tema Eurobond sarà centrale ed io mi aspetto che le istituzioni europee e quelle nazionali, e le leadership politiche economiche e sociali comprendano che sarà necessario individuare forme di garanzia per i Paesi più riottosi e preoccupati ma non si potrà rinunciare ad usare la leva del debito finalizzato alla crescita sostenibile e al recupero della competitività.
L’alternativa è tirare a campare cioè progressivamente diventare irrilevanti.