Esteri

Ucraina, veto sui missili a lungo raggio. Ma usarli può essere la svolta

06
Settembre 2024
Di Tommaso Carboni

È vero che sulla guerra in Ucraina il governo italiano è rimasto indietro. Quando Tajani dice che le armi donate a Kiev non possono essere usate in territorio russo sembra essersi perso un pezzo. Forse non si è accorto che nell’ultimo mese l’esercito ucraino ha letteralmente invaso la Russia con armi occidentali, e non c’è stata alcuna escalation, ovvero un coinvolgimento diretto della Nato o dell’UE nella guerra. Putin ha reagito sminuendo la questione di fronte alla sua opinione pubblica. Ha anche lanciato una campagna di bombardamenti su infrastrutture e città del nemico, una delle più distruttive dall’inizio del conflitto (ma è possibile che l’avrebbe scatenata comunque, anche senza il raid dell’Ucraina).

Il problema dunque non è la prudenza di Meloni e Tajani (o il putinismo di Salvini). Il vero problema per Kiev è che se l’Italia è rimasta indietro, gli altri alleati non sono andati troppo avanti. Sono divisi sulla richiesta più pressante di Zelensky: il diritto di colpire in profondità il territorio russo, usando le armi a lungo raggio fornite dall’Occidente. Tutta una serie di obiettivi potrebbero essere distrutti, secondo il governo ucraino, complicando lo sforzo bellico della Russia. Regno Unito e Francia, che hanno fornito rispettivamente missili Storm Shadow e SCALP, vorrebbero dare l’ok. Stati Uniti e Germania invece si oppongono.

Per Kiev il veto più dannoso è quello degli americani, l’alleato più importante che detta la linea agli altri. Certe presunte linee rosse sono sfumate fino a diventare invisibili, ma sono spuntati fuori altri argomenti e congetture che negano agli ucraini la facoltà di colpire. Andiamo con ordine. All’inizio Biden aveva posto un veto totale sull’uso di armi americane contro obiettivi militari sul suolo russo. Questo anche dopo aver donato i missili ATACMS, con una gittata di 300 km. A maggio però il divieto è stato parzialmente revocato; agli ucraini è stato detto che potevano colpire concentrazioni di truppe russe dall’altra parte del confine che si preparavano ad attaccare la città di Kharkiv. Un mese fa quel confine è stato sfondato, tra 7mila e 12mila soldati ucraini sono penetrati per una trentina di km nella regione di Kursk, occupando in poche settimane – stando a calcoli del governo ucraino – 1.300 km quadrati di territorio russo. Kiev ha usato ampiamente armi e mezzi corrazzati occidentali, tra cui i lanciarazzi Himars, schierati contro le truppe accorse a respingere l’invasione. Né Stati Uniti, né Francia, Germania e Inghilterra hanno sollevato particolari obiezioni.

Nella sua narrazione interna anche Putin ha minimizzato, nonostante si trattasse del primo vero attacco militare alla Russia dalla Seconda guerra mondiale. La sua linea rossa si è rivelata poco altro che un bluff, ed è qui che il governo italiano e l’opposizione del Pd sembrano rimasti indietro: l’Ucraina non sta attaccando, si difende, e ciò non ha portato (finora) ad alcuna escalation.

Quindi perché il veto di Biden non è caduto del tutto? Nel bel mezzo del più brutale assalto missilistico russo, una delegazione del governo ucraino è volata a Washington per far cambiare idea al presidente americano. Il team di Zelensky ha chiesto l’autorizzazione a colpire una serie di obiettivi militari in profondità nel territorio russo usando missili americani. Una lista concreta e specifica di bersagli alla portata degli ATACMS. Il primo motivo per bloccare l’Ucraina era stato il timore che Putin allargasse il conflitto alla Nato. Ma negli ultimi mesi sono apparse nuove ragioni. Secondo l’Economist, alcuni funzionari suggeriscono che l’amministrazione Biden non voglia mettere a rischio un futuro “reset” delle relazioni con Mosca. Altri funzionari sostengono che non ci sono abbastanza obiettivi in Russia alla portata degli ATACMS (circa 300 km), dunque dare il via libera agli ucraini non avrebbe un impatto così significativo sul conflitto. C’è una verità: il Cremlino sembra aver effettivamente spostato la gran parte degli aerei con cui lancia le micidiali bombe plananti in piste di decollo al di fuori del raggio d’azione degli ATACMS. Quindi, sostengono i funzionari Usa, meglio colpire la Crimea, anche perché gli ATACMS sono una risorsa scarsa. C’è altro: Biden pare che abbia impedito a Inghilterra e Francia di accordare a Kiev il permesso di lanciare Storm Shadow e SCALP fuori dall’Ucraina, missili che contengono alcune componenti americane.   

Questi ostacoli stanno facendo impazzire gli ucraini. Innanzitutto le riserve di ATACMS non sembrano così scarse: un’analisi dettagliata di Defence Express, un centro di ricerca ucraino, stima che gli Usa ne abbiano stoccati nei loro depositi almeno 2500. Sembra opinabile anche che non ci siano bersagli sufficienti in territorio russo. Secondo l’Institute for the Study of War (ISW), un autorevole think tank militare americano, gli ucraini potrebbero colpire con gli ATACMS circa 250 obiettivi militari. Di questo solo 17 sono piste di decollo e atterraggio. La maggior parte è composta da basi militari, depositi di carburante e munizioni, centri logistici e di comunicazione. Perché impedire di distruggerli? Alcuni analisti, ad esempio Stephen Biddle, docente alla Columbia University, sostengono che colpire in profondità la Russia non altererebbe in modo sostanziale il corso della guerra. Biddle, in un articolo recente su Foreign Affairs, non ha nemmeno escluso il rischio di escalation. Ma i colpi in profondità sarebbero comunque un danno per la Russia. Potrebbero ostacolarne l’avanzata, ridurre l’efficacia dei suoi bombardamenti e portare forse a un cessate il fuoco più favorevole per l’Ucraina. Ecco cosa scrive l’ISW: «Gli attacchi con missili occidentali a lungo raggio nelle retrovie della Russia permetterebbero di colpire un’ampia gamma di obiettivi militari. Togliere il veto sarebbe decisivo per degradare le capacità russe in tutto il teatro di guerra».

Zelensky tenterà un’ultima volta di convincere Biden a sollevare le restrizioni. Potrà parlarci a New York, la prossima settimana all’assemblea generale delle Nazioni Unite.