Cultura
In ricordo di Lino Jannuzzi, un solco nella storia, nel costume e nella politica italiana
Di Gianfranco Ferroni
Lino Jannuzzi, o del giornalismo. Jannuzzi ha attraversato un secolo: 96 anni che hanno lasciato un segno profondo nella cronaca e nella storia, nel costume e nella politica. Perché Jannuzzi è stato un anticipatore, un protagonista, un testimone, sempre eccellente: amante della notizia, quella nascosta, che tanti colleghi ancora oggi non pubblicherebbero mai. Coltivava relazioni di altissimo livello, senza mai dimenticare la sua passione giovanile, e non solo, per la goliardia, quella palestra universitaria che formava generazioni di belle speranze, e che lo vide in compagnia di elementi che poi sono diventati famosissimi, come, tra gli altri, Marco Pannella e Bettino Craxi.
Già, Pannella: un difensore delle cause perse, per molti, ma anche un lottatore senza pari nella difesa della legalità, fino agli eccessi. Una vita spesa per quello stato di diritto che non doveva mai somigliare a quelli contro lui lottava, ai terroristi, ai criminali: e Jannuzzi era vicinissimo a questa concezione di una repubblica che avevo visto nascere dalle ceneri della monarchia e della dittatura, e che in una parola, “libertà”, doveva essere contenuta. E proprio con “Giacinto detto Marco” divenne direttore di Radio Radicale, con una memorabile rassegna stampa mattutina che sforava sempre i tempi previsti dal palinsesto, e con interviste che anche l’altra notte la benemerita stazione radiofonica ha messo in onda, con Leonardo Sciascia, per esempio.
Quelle “conversazioni” quasi infinite, dove il tempo sembrava sospeso, ma che hanno regalato agli ascoltatori dispute filosofiche e battaglie per la legalità, con approfondimenti che oggi verrebbero spalmati in master universitari pluriennali. Jannuzzi sapeva di correre rischi cercando la libertà nel giornalismo, alzava sempre l’ostacolo davanti al quale confrontarsi, la sua era una professionalità che metteva la passione al primo posto. Quando c’era da abbracciare una causa non poteva offrirsi a rate, l’impegno era totale, diuturno. E confrontando quelle capacità di abbattere continuamente nuovi muri del suono con l’attuale situazione dell’informazione, il paragone è imbarazzante: tra lettori acritici di dispacci d’agenzia e propalatori di fake news, il rimpianto per uomini come Lino Jannuzzi è assoluto. Ha commesso alcuni errori, come tutti d’altronde, ma sempre a testa alta, sapendo che anche le righe di un articolo possono scatenare dibattiti, accendere polemiche, far pensare il lettore. Chissà, forse nessuno ne avrà il coraggio, ma intitolare una scuola di giornalismo a Lino sarebbe un bel gesto, specie se proveniente da parte di quei poteri che lo hanno combattuto e martoriato.
A noi rimangono i ricordi di una persona unica, concentrata nel lavoro ma capace di condividere momenti straordinari per il divertimento, tra racconti che potevano sembrare leggende e invece erano stati vissuti, senza sosta. Tra bottiglie di champagne e l’immancabile sigaro, consumato mentre rifletteva, da solo e in compagnia.