Un’Assemblea Costituente si fa per rifondare un modello con nuove basi. Ha successo quando tutte le parti del vecchio sistema sono d’accordo nel voltare pagina ripartendo da principi diversi di ordinamento giuridico e sociale. Dinamiche del genere divengono però problematiche quando l’oggetto da rifondare è un partito. Fu un passaggio difficile e traumatico quello da Pci a Pds, da MSI ad Alleanza Nazionale, e non può che non essere così anche per quanto riguarda il M5S.
Il Movimento ha sempre detto di non essere un partito, eppure lo è seppure con una struttura un po’ differente. Il suo presidente, Giuseppe Conte, il 4 ottobre prossimo riunirà centinaia di delegati per discutere le sorti della creatura fondata nel 2009, prevedendo anche il voto degli iscritti. Cosa si discuterà deve ancora emergere bene, ma non è affatto escluso che sarà lo stesso organigramma ad essere rivisto, con la possibilità che proprio Giuseppe Conte sia avvicendato, ma soprattutto con il forte rischio che addirittura Beppe Grillo perda il suo ruolo di Garante come attualmente da statuto.
Certo che fa parlare l’eventualità che si vada verso una forma partito vera e propria, certo che c’è dibattito sulla regola dei due mandati, ma il tema chiave sembra essere quello della esclusione del fondatore dalla realtà che ha contribuito a far crescere. La situazione ovviamente fa notizia, tuttavia non dovrebbe stupire, perché è veramente raro che il fondatore di un movimento politico non ricopra cariche politiche elettive o che comunque abbia stabilito fin da prima di non volerne. Il rischio di essere tagliati fuori è reale. Basti pensare che il figlio dell’altro fondatore, Davide Casaleggio, già non ha più ruoli all’interno del nucleo direttivo. Nel suo caso a determinare lo strappo è stata la diatriba sulla piattaforma digitale di cui beneficiava il M5S, fornita (non pro bono) dalla Casaleggio Associati. Serviva a gestire votazioni online ed iscritti.
Quando l’armonia si rompe si comincia con lo scarica barile. Secondo Beppe Grillo Giuseppe Conte non è un leader indispensabile e sarebbe in gran parte colpa sua la debacle di consensi osservata dalle elezioni del 2018 ad oggi, essendo passati dal 32% all’8% delle europee. Sarebbe dunque ora di ritrovare lo spirito di un tempo, ed ecco che il fondatore rinfaccia la fiducia data a Mario Draghi e le alleanze di governo con quei partiti che si volevano spianare. Ma i soggetti politici esistono se evolvono e se sono capaci di esistere indipendentemente da chi gli ha dato la luce, una regola non scritta e condivisa nel senso comune a cui appunto l’attuale presidente si appella.
Contro l’ex premier ci sono 11 ex parlamentari della vecchia guardia: Nicola Morra, Alessio Villarosa, Rosa Silvana Abate, Ehm Yana Chiara, Jessica Costanzo, Emanuele Dessì, Elio Lannutti, Michele Sodano, Simona Suriano, Raffaele Trano, Andrea Vallascas, i quali in una lettera a Conte citano Cartesio: «‘L’ingratitudine è una mescolanza di egoismo, orgoglio e stupidità». La posizione è chiara e va dritta al punto: «L’idea di un’assemblea costituente per rimettere in carreggiata il fu movimento ora partito riecheggia le pratiche dei vecchi partiti che si volevano pensionare. È questo il destino del M5s? Trasformarsi in un clone del PD?». Ma per altri è solo una perorazione sconclusionata di chi non ha trovato spazio nel nuovo corso, «è la rivolta dei trombati», dice senza mezzi termini un deputato che vuole restare anonimo.
Qualunque sia l’esito di questo processo interno, l’interesse del grande pubblico crediamo stia nel capire se il nuovo Movimento sarà in grado di collocarsi politicamente in modo esplicito ed essendo capace di formare alleanze efficaci non estemporanee. Sicuramente è quello che Conte vuole adesso. Chi gli è avverso dovrà riuscire ad affermare un’altra visione e non sembra al momento che la frangia antagonista sia maggioritaria né folta.