Salute
L’Ema (forse) a Milano e i primi scenari in vista delle politiche
Di Redazione
È passata relativamente sottotraccia la notizia del Financial Times secondo cui Milano, assieme a Bratislava, è in testa alle città europee candidate per la sede di Ema. Con il Regno Unito destinato a uscire dalla Ue, la European Medicines Agency si muoverà infatti da Londra e rappresenta una preda molto ambita per la triplice valenza economica, tecnologica e finanziaria che riveste oggi il settore sanitario.
Secondo Assolombarda, la somma del valore aggiunto e dell’indotto della filiera italiana delle scienze della vita – concentrata soprattutto in Lombardia ma presente anche in altre regioni – è pari a 161 miliardi di euro e incide per il 10% del Pil nazionale. Sul fronte degli investimenti, i settori manifatturieri della filiera investono in ricerca e sviluppo fino a 2,7 miliardi di euro, ovvero il 13% del totale italiano. Sono cifre che da sole chiariscono la portata di una partita che l’Italia gioca secondo le regole del complesso meccanismo negoziale europeo, con alleanze, priorità e veti incrociati fra i (presunti) partner che ne decideranno l’esito finale.
Del resto, quello fra sanità e tecnologia è un nesso che diverrà via via più importante: basti pensare alla feroce competizione fra Stati per accaparrarsi capitale umano specializzato o al fatto che un gigante mondiale del calibro di Alibaba continui a investire massicciamente nella propria divisione Health Information Technology.
In attesa del verdetto finale su Ema (la decisione è fissata per il prossimo 20 novembre e riguarda anche la sede dell’Autorità bancaria europea), l’Italia si appresta a vivere sfide altrettanto decisive. A cominciare dal valzer per la formazione del prossimo esecutivo e tanto più dopo che le urne siciliane hanno certificato quanto si prevedeva alla vigilia: il centrodestra è competitivo (soltanto) se unito, il M5s resta un avversario temibile per chiunque e l’alleanza Pd-Ap da sola non basta. Le elezioni si celebreranno presumibilmente a marzo ed è possibile cominciare a immaginare alcuni ipotetici scenari. Un incarico al partito di Grillo, confermato prima forza d’Italia senza però avere i numeri per governare da solo. L’asse con la Lega Nord di Salvini sarebbe l’unica soluzione percorribile, anche se tutto dipenderà dalla condivisione (o meno) di un programma. C’è poi l’ipotesi dell’incarico a un redivivo Pd, con Renzi riuscito nel suo intento di imbrigliare le correnti interne soltanto per trovarsi davanti a un enigma ancora più complesso: l’alleanza con la Sinistra bersaniana guidata dall’ex presidente del Senato Grasso oppure la larga intesa con Berlusconi. Né si può escludere che sia proprio l’ex cavaliere a giocare il ruolo di dominus del sistema, soprattutto nel caso in cui Forza Italia dovesse aggregare attorno a sé i voti dei moderati e dei centristi tramite cui provare a sterilizzare le incompatibilità presenti nella coalizione di centrodestra con Salvini e Meloni. Sullo sfondo resta lo scenario spagnolo, con il Parlamento paralizzato dai veti incrociati fra i partiti, Gentiloni a Palazzo Chigi per sbrigare gli affari correnti e l’eventualità di un ritorno alle urne via via più probabile.
Alberto De Sanctis