Forte del consenso raccolto con il G7, la Meloni ha chiuso una settimana politicamente molto strategica per la sua legislatura. Iniziamo da Borgo Egnazia. Con la tre giorni di summit internazionale, al di là della rilevanza geopolitica delle dichiarazioni finali, la cui incisività è stata messa un po’ in discussione a causa del basso peso specifico delle leadership che le hanno avallate, la premier italiana ha rafforzato il suo standing sul piano internazionale, già “benedetto” dal buon risultato elettorale alle Europee. Sulla scorta di questo aumento di autorevolezza la leader dell’Ecr sta anche provando a vincere una partita importante in seno all’Ue per il giro di nomine. I nomi in tasca del governo italiano, stando ai rumors circolati in queste ore, sono quelli della Belloni e Fitto. Ma per spuntarla su quei tavoli serve ancora aspettare un po’ di adempimenti, tra cui l’insediamento del nuovo Parlamento europeo.
Sul piano interno invece la settimana è stata di grande rilevanza per l’agenda di governo. Sono andate avanti, infatti, due fondamentali direttrici di questa legislatura: la riforma del premierato e quella che introduce l’Autonomia differenziata. Partiamo dalla prima. Il Senato ha approvato, con 109 sì, 77 no e un astenuto, il disegno di legge costituzionale sul Premierato. Il provvedimento passa ora alla Camera. Trattandosi di una legge costituzionale servirà l’approvazione in quattro letture, la prossima della Camera sarà la seconda, ma come tutti già prevedono la riforma passerà per il referendum popolare, sia per ragioni di lealtà politica sia perché dovrebbe mancare la maggioranza dei due terzi nelle due Camere.
La seconda è da taluni considerata una grande insidia, da altri un’innovazione. Certamente la legge sull’Autonomia differenziata delle regioni, approvata definitivamente dalla Camera con 172 sì, 99 voti contrari e 1 astenuto, è un passaggio storico nella politica italiana per la sua potenzialità di incidere sul futuro della vita pubblica. La riforma definisce i criteri e implementa le disposizioni dell’articolo 116 (modificato nel 2001) della Costituzione, quello relativo alla possibilità di autonomia per le regioni a statuto ordinario. In sostanza i padri costituenti avevano già previsto degli ampi margini di manovra per gli enti territoriali, ma li avevano posti come eventualità e non come obbligo nel nostro ordinamento. Il punto, però, sta tutto sul modo in cui si decide di sistematizzare le autonomie. A seconda dei capisaldi, un modello può essere giudicato rispettoso dei principi e dei fondamentali diritti costituzionali, oppure lesivo degli stessi.
E se da un lato l’approvazione è stata una vittoria per la maggioranza, dall’altro ha avuto il contraccolpo di unire le opposizioni in un “campo largo” di dissenso, manifestato sia in Aula, sia in piazza. E sta ritornando il vecchio dibattito sull’opportunità di unificare le voci del centrosinistra nell’ambito di una stessa coalizione. E adesso i riflettori si puntano sui ballottaggi del weekend: Perugia, Firenze e Bari, un nuovo test per Schlein e compagni per sondare la riuscita del cartello.