Esteri
Guerre: punto, tutti al tavolo della diplomazia, tranne i belligeranti
Di Giampiero Gramaglia
A leggere l’agenda di politica internazionale di questi giorni, c’è da stare (quasi) tranquilli: le guerre nel Medio Oriente e in Ucraina sono ridimensionate a capitoli diplomatici di Vertici d’ogni genere, dal G7 in Puglia all’altisonante – e sedicente – Vertice della Pace in Svizzera nel fine settimana, preceduti da incontri per la ricostruzione in Germania, per l’Ucraina, e in Giordania, per la Striscia di Gaza. Guerre da leader e da feluche, senza vittime. Mentre, a badare ai media, i drammi ‘veri’ sono quelli europei, gli scossoni politici in Francia e in Germania, i dubbi sul futuro dell’Unione (dubbi davvero seri e gravi).
A creare il clima, contribuiscono i protagonisti dei conflitti, specie Israele e Hamas, che “fanno spallucce” – scrive il Washington Post – di fronte alle vittime civili: per Israele, oltre 270 palestinesi uccisi sono un prezzo accettabile, anzi da sbandierare, per liberare quattro ostaggi; e, per Hamas, sono parimenti un prezzo accettabile per aumentare la pressione internazionale su Israele.
E mentre il negoziato per una tregua, duratura o definitiva, può davvero essere alle battute finali, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, votata all’unanimità – astenuta la Russia – chiede un cessate-il-fuoco permanente e il rilascio di tutti gli ostaggi. Dovesse restare lettera morta, non sarebbe certo la prima ignorata di questa guerra e di 80 anni di conflitti arabo – israeliani.
Hamas, si apprende, ha consegnato ai mediatori di Qatar ed Egitto la sua risposta al piano di tregua appoggiato dagli Stati Uniti: una risposta positiva, ma “con qualche osservazione”, dove può annidarsi l’intoppo. L’organizzazione palestinese e il gruppo minore della Jihad islamica affermano di essere pronti ad agire in modo positivo per giungere a un accordo e dicono che la loro priorità è porre fine al conflitto in modo completo.
La presenza nella Regione del segretario di Stato Usa Anthony Blinken può indurre all’ottimismo, ma è l’ennesima missione mediorientale degli ultimi otto mesi, tutte finora improduttive. Bisogna affidarsi alla legge dei grandi numeri: prima o poi, qualcosa si sblocca.
Sul fronte ucraino, la situazione è più statica. L’offensiva russa, di terra e di aria, verso Kharkiv pare scemare d’intensità, non è chiaro se per effetto delle nuove regole d’ingaggio delle armi occidentali nelle mani di Kiev o per disegni tattici di Mosca. L’appuntamento di pace in Svizzera è paradossale, senza l’aggressore; ma può servire a misurare il grado di coesione dell’Occidente nel sostegno all’Ucraina, dopo le elezioni europee che hanno visto in molti Paesi l’affermazione, o almeno l’avanzata, di forze politiche filo-russe
Guerre: Medio Oriente, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza e gli sviluppi
Il voto all’Onu segna la prima volta che il Consiglio di Sicurezza avalla un piano per porre termine alla guerra: Hamas risponde “parliamone”, con distinguo; Israele vuole proseguire le operazioni, se le trattative “non hanno senso”. Il presidente Usa Joe Biden invita Hamas “a dimostrare” di volere davvero una tregua nella Striscia di Gaza, accettando l’intesa in tre fasi che ha il timbro dell’Onu. Blinken, parallelamente, cerca di convincere il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
L’Onu mette in tavola un’altra carta: il comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite indaga eventuali “crimini di guerra” compiuti da entrambe le parti, nel corso dell’operazione israeliana che, lo scorso fine settimana, nel centro della Striscia, ha portato alla liberazione di quattro ostaggi, ma contestualmente all’uccisione di almeno 274 palestinesi, fra cui decine di donne e bambini – cifre che le fonti militari israeliane correggono al ribasso -.
L’operazione condotta l’8 giugno nella città di Nuseirat, nel centro della Striscia, è stata la maggiore per il recupero di ostaggi in otto mesi esatti di guerra aperta: Israele ha impegnato forze di terra coperte da un pesante bombardamento aereo e ha lasciato dietro di sé devastazione e morte – oltre alle vittime, almeno 700 feriti -. Sempre le fonti militari israeliane stimano che gli ostaggi ancora vivi nelle mani dei palestinesi siano una settantina.
I quattro sequestrati liberati, tre uomini e una donna, sono in buone condizioni mediche generali e sono stati trasferiti in ospedale per accertamenti -. La donna è Noa Argamani, una giovane le cui immagini mentre veniva condotta via in motocicletta dai suoi rapitori, implorando di non essere uccisa, sono fra le più iconiche del 7 ottobre.
In un’azione militare precedente la liberazione degli ostaggi, un raid aereo israeliano aveva colpito, sempre a Nuseirat, una scuola dell’Onu trasformata in rifugio, facendo almeno 45 vittime. Le fonti militari israeliane sostengono che l’installazione era una base di Hamas
Per Netanyahu, ci sono anche grane interne: domenica, passata la fiammata d’entusiasmo suscitata dalla liberazione (a caro prezzo di vite umane) dei quattro ostaggi, uno dei leader dell’opposizione, Benny Gantz, ha annunciato la sua uscita dal ‘gabinetto di guerra’. Il governo continua a potere contare su una maggioranza nella Knesset, se non nel Paese, ma perde il carattere di unità nazionale ‘causa guerra’ ed è azzoppato, mentre a Tel Aviv e altrove si succedono manifestazioni per chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi ed elezioni.
Nell’analisi della Cnn, la mossa di Gantz, un ex capo di Stato Maggiore, “non fa cadere”, ma “destabilizza” il governo formato dopo gli attacchi terroristici di Hamas e di altre sigle integraliste in territorio israeliano il 7 ottobre, che fecero oltre 1200 vittime e che portarono alla cattura di oltre 250 ostaggi, innescando l’invasione della Striscia da parte israeliana.
Gantz pone, in particolare, l’accento sull’assenza di un piano per l’assetto della Striscia di Gaza dopo la guerra. Secondo un rapporto della Cia, Netanyahu “ritiene di potersela cavare senza definire” un piano del genere, nonostante le pressioni di Biden. Il premier – dice il rapporto, secondo la Cnn – “probabilmente conta di mantenere il sostegno dei responsabili della sicurezza e prevenire le defezioni” dell’ala destra della sua coalizione parlando del futuro di Gaza in “termini vaghi e generici”.
Per gli autori dell’analisi, ciò che Netanyahu ha pubblicamente affermato è probabilmente vero: lui si impegnerà seriamente nel dopo guerra solo dopo avere raggiunto “quelli che considera parametri di sicurezza chiave, il che potrebbe richiedere mesi”. Fra questi parametri, il completamento “d’importanti operazioni militari”, fra cui l’eliminazione del comandante militare di Hamas Mohammed Deif.
Il rapporto della Cia rispecchia parole recenti del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, secondo cui le operazioni militari nella Striscia andranno avanti fino al conseguimento dell’obiettivo finale, l’eradicazione di Hamas dal territorio: “Negoziamo tenendo i terroristi sotto tiro”.
Una buona notizia, dal punto di vista umanitario, è che il pontile artificiale allestito al largo di Gaza dalle forze armate degli Stati Uniti, per consentire l’attracco e lo scarico di navi con aiuti – viveri, medicinali, generi di prima necessità – è stato riparato, dopo essere stato danneggiato il 25 maggio dal mare avverso, ed ha ripreso a funzionare, consentendo di accelerare il flusso dei soccorsi.
Da segnalare, infine, che la Spagna, dopo avere riconosciuto la Palestina come Stato, ha ora chiesto di affiancare il SudAfrica nella causa per genocidio intentata di fronte alla Corte di Giustizia internazionale dell’Onu. La Spagna è il primo, e finora unico, Paese Ue a fare un passo del genere, dopo Messico, Colombia, Nicaragua e Libia.
Guerre: Ucraina, armi Usa in azione sul territorio russo, incognite post elezioni europee
L’Ucraina, più che il Medio Oriente, tiene banco, in questa fase, nelle consultazioni diplomatiche: quelle della scorsa settimana, a margine delle celebrazioni in Normandia per l’80° anniversario dello Sbarco, e quelle in Puglia e in Svizzera in questo fine settimana. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è ovunque, in questi giorni: al Bundestag, la sua presenza suscita la protesta, ostentata e clamorosa, dei deputati di Alternativa per la Germania, l’AfD, il partito neo-nazista, che se ne vanno per non ascoltarlo.
C’è da valutare, nei prossimi appuntamenti, l’impatto dei risultati delle elezioni europee, ma anche dei voti politici in Francia e in Gran Bretagna, di qui al 7 luglio, sul sostegno dell’Occidente all’Ucraina, che, nel frattempo, ha cominciato a usare sul territorio russo le armi Nato,
Un’analisi dell’Istituto per lo studio della guerra, l’Isw americano, indica che il nullaosta dell’Amministrazione Usa a Kiev per l’utilizzo di armi statunitensi sul territorio russo ha solo intaccato del 16% il “territorio intoccabile” della Federazione russa. “La politica statunitense – scrivono gli analisti dell’Isw – preserva ancora almeno l’84% del territorio russo” che pure sarebbe nel raggio d’azione dei missili Atacms ora in dotazione agli ucaraini.
Per il think tank, “la politica statunitense di limitare l’uso da parte dell’Ucraina delle armi loro fornite ha di fatto creato un vasto santuario … che la Russia sfrutta per proteggere le sue forze combattenti, i suoi centri di comando e controllo, la sua logistica e il supporto dalle retrovie che l’esercito russo utilizza per condurre le sue operazioni in Ucraina”. Inoltre, “la politica statunitense protegge ancora la stragrande maggioranza delle retrovie operative e delle retrovie in profondità della Russia”.
Valutazioni dell’Isw a parte, Biden, incontrando Zelensky a Parigi s’è scusato per avergli fatto sospirare a lungo gli aiuti militari tenuti bloccati nel Congresso dall’opposizione repubblicana. Adesso, gli Stati Uniti contano di ottenere da G7 e dai loro partner nell’Ue e nella Nato l’ok all’uso degli extra-profitti generati dai beni russi congelati per sostenere l’Ucraina – il dossier presenta criticità giuridiche e finanziare e porta con sé rischi di ritorsioni da parte russa -.
Washington ha pure tolto il bando sulla fornitura di armi Usa a un’unità militare ucraina fortemente controversa per le connotazioni neo-naziste, la Brigata Azov, nel 2022 protagonista della resistenza a Mariupol nella prima fase dell’invasione russa.