Politica
Sconfitto, Macron va al voto anticipato: stravolti gli equilibri in Europa
Di Ilaria Donatio
“Mercati in picchiata dopo che Macron ha indetto le elezioni anticipate e Le Pen ha trionfato nel voto sull’Ue”: è il titolo che campeggia sulla prima pagina di oggi del Financial Times. Il più antico e autorevole quotidiano finanziario londinese ha così salutato la svendita di azioni e obbligazioni francesi che ha trascinato al ribasso gli indici europei con gli investitori che hanno reagito all’instabilità politica e alla possibilità di un governo di estrema destra.
L’alleanza centrista del presidente francese è stata, infatti, sconfitta dal movimento di estrema destra di Marine Le Pen nel voto di Bruxelles: il Rassemblement National (RN) di Le Pen si è assicurato il 31,4% dei voti rispetto al 14,6% dell’alleanza centrista del presidente francese, un duro colpo per Macron.
La “decisione shock” del presidente francese Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale e andare al voto, è stata assunta e comunicata al Paese dall’inquilino dell’Eliseo subito dopo i primi exit poll: “Per me”, ha detto, “che da sempre ritengo che un’Europa unita, forte e indipendente sia un bene per la Francia, questa è una situazione che non posso tollerarlo. Ho deciso di restituirvi con un voto la scelta del nostro futuro parlamentare”.
La Francia alle elezioni
Il primo turno delle elezioni parlamentari francesi si terrà tra tre settimane, il 30 giugno, con ballottaggio il 7 luglio. Lo scioglimento è una scommessa straordinaria di Macron che ha già perso la maggioranza parlamentare dopo aver avviato il secondo mandato presidenziale, due anni fa. La sua alleanza potrebbe uscirne distrutta, il che lo costringerebbe a nominare un primo ministro di un altro partito, come il centrodestra Les Republicains o anche l’estrema destra RN, in un accordo definito tecnicamente come “coabitazione”. In uno scenario del genere, Macron si ritroverebbe con un potere assai risicato da far valere negli affari interni, avendo ancora un orizzonte temporale di tre anni come presidente.
Macron ha dunque ritenuto necessario di andare al voto e ottenere chiarezza sulla direzione del paese. Secondo il Financial Times, i funzionari dell’Eliseo avrebbero riferito che il presidente francese stava già valutando da tempo questa possibilità per risolvere lo stallo in cui versava il Parlamento.
Lo stesso François Bayrou, politico centrista il cui partito è alleato con Macron, ha affermato che il presidente mira così a “porre fine all’impasse” politico, passando il testimone agli elettori che dovranno rispondere a una semplice domanda: “La Francia si riconosce davvero nelle proposte dell’estrema destra?”.
La vittoria di Le Pen
Le Pen intanto celebra la vittoria: “Ciò dimostra che quando il popolo vota, il popolo vince”, ha detto nel proprio discorso. “Posso solo salutare con favore la decisione del presidente di indire elezioni anticipate. Siamo pronti ad esercitare il potere se i francesi ci daranno il loro appoggio”.
Le stime di voto mostrano che la lista del Rassemblement national (Rn), guidata dal carismatico capo del partito 28enne Jordan Bardella, ha ottenuto quasi tanti voti quanto il totale dell’alleanza di Macron, guidata da una poco conosciuta eurodeputata Valerie Hayer. “Concedendoci più del 30% dei voti, i francesi hanno espresso il loro verdetto e hanno sottolineato la determinazione del nostro Paese a cambiare la direzione dell’UE”, ha detto Bardella in un discorso dal quartier generale della sua campagna elettorale. “Questo è solo l’inizio.”
RN ha 88 seggi su 577 nell’Assemblea nazionale, diventando così il maggiore partito di opposizione. L’alleanza centrista di Macron ne ha 249 e quindi deve siglare accordi con altri partiti per portare avanti la propria agenda.
Le precedenti coabitazioni
Ci sono state tre precedenti coabitazioni politiche in Francia – in cui il presidente deve condividere il potere con il primo ministro e il governo di un partito avversario – da quando è stata fondata la Quinta Repubblica, nel 1958. Alain Duhamel, analista politico, prevede che “lo scioglimento significherà una convivenza”.
Naturalmente il presidente francese, già senza maggioranza parlamentare, è blindato al potere dalla Costituzione della V Repubblica. Avrebbe quindi potuto respingere l’invito di Le Pen a sciogliere l’Assemblea. Non l’ha fatto perché resistere per altri tre anni con una leadership da troppo tempo appannata, in un Paese dove non è riuscito a risalire la china dell’impopolarità, l’avrebbe condannato di fatto all’impotenza.
Francia e Germania: grandi perdenti
Emmanuel Macron e Olaf Scholz appaiono dunque i veri, grandi perdenti delle elezioni. E la loro sconfitta stravolge gli equilibri politici che hanno governato negli ultimi 20 anni le istituzioni europee.
“L’asse più franco che tedesco” era il titolo di un’analisi che l’Ispi ha pubblicato poco più di un mese fa sui rapporti tra Francia e Germania all’interno del contesto europeo, prevedendo, in parte, l’esito del voto europeo: entrambe le leadership, si spiega nel pezzo, appaiono minate al loro interno, con Macron che mantiene grandi ambizioni di integrazione comunitaria e approfitta della leadership tedesca in crisi. Il discorso tenuto alla Sorbona da Macron sul futuro dell’Europa lo scorso 25 aprile, a 7 anni dal precedente, ha gettato lo sguardo ben oltre i problemi nazionali, con la chiara intenzione di assumere una guida nelle sfide che l’Ue deve affrontare.
Ma il presidente non aveva fatto i conti con Marine Le Pen e Jordan Bardella che hanno avuto ragione nel volere “nazionalizzare” il voto del 9 giugno, facendolo diventare una sorta di voto di metà-mandato e invitando i francesi a dare una lezione all’impopolare presidente.
Le cerimonie internazionali di questi giorni, i capi di Stato di tutto il mondo incontrati da Macron sulle spiagge della Normandia in occasione degli 80 anni dello sbarco, il presidente ucraino Zelensky e quello americano Biden accolti all’Eliseo, non hanno spostato di mezzo punto percentuale il voto dei francesi.
Un terremoto annunciato
Dunque, un terremoto, per i governi francese e tedesco, annunciato ma non fino a questo punto: non ci si immaginava l’onda d’urto che ha travolto la presidenza di Emmanuel Macron in Francia e investito in Germania il cancelliere Olaf Scholz facendo retrocedere il suo partito al terzo posto. E scatenando una crisi politica e reputazionale dei due leader che più di tutti gli altri sono in grado di fare il bello e il cattivo tempo nella complicata famiglia europea.
La presidente uscente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha i numeri, e la coalizione potrebbe allargarsi ai Verdi, ma c’è il rischio di franchi tiratori. Così, il voto ha spostato a destra il baricentro politico dell’Unione, ma soprattutto scopre deboli e a fine corsa i leader di Francia e Germania, i due Paesi più grandi e fin qui inevitabili di ogni dinamica europea. Certo, sconfitte ampiamente annunciate. Ma che aprono scenari nuovi e imprevedibili, anche sul palcoscenico comunitario.
La partita della Commissione
La doppia umiliazione di Macron e Scholz cambia il grande gioco delle nomine ai vertici dell’Unione. In primo luogo, all’interno del Consiglio europeo, dove non potranno essere più loro i kingmaker. Questo rafforza le chance di Ursula von der Leyen di vedersi riconfermata alla guida della Commissione europea: negli ultimi mesi erano stati infatti il capo dell’Eliseo e il cancelliere, i registi neppure tanto occulti di un lavorio che puntava a sbarrare la strada all’ex ministra della Difesa tedesca, considerata da Macron e Scholz non più adeguata.
La partita del Parlamento europeo
Molto diversa sarà la partita dentro il Parlamento europeo, che dovrà votare la fiducia. In apparenza, nonostante la forte avanzata delle destre, quella populista conservatrice di Ecr e quella estrema di Identità e Democrazia, la cosiddetta maggioranza Ursula — fatta di popolari, socialisti e liberali — ha retto. Le proiezioni le danno 398 voti, ben sopra la soglia magica di 361 che è la maggioranza assoluta nel nuovo Europarlamento. Ma in realtà, una quota intorno al 10-15% di franchi tiratori viene considerata inevitabile.
Ma comunque andrà, il responso delle urne avrà conseguenze importanti sulla vita delle istituzioni europee da qui al 2029. Ogni maggioranza “europeista” dovrà fare i conti con uno schieramento di destra rafforzato e deciso a far valere le proprie posizioni.
Dossier cruciali come la politica di difesa contro l’espansionismo aggressivo della Russia di Putin, la politica agricola, la transizione climatica che è diventata il pomo della discordia dopo essere stata la bandiera della scorsa legislatura, saranno oggetto di negoziati duri, dove spesso salteranno le alleanze tradizionali.