Politica
Comunque la si pensi, una società già lacerata non ha bisogno di altre linee di frattura
Di Redazione
Il governo non ha certamente bisogno dei consigli di chi scrive. Tuttavia, mi permetto un suggerimento rigorosamente non richiesto, perfino al di là delle questioni di merito, e cioè della preoccupazione (dal mio punto di vista, totalmente condivisibile) di informare i cittadini sull’opportunità di vaccinarsi, e delle regole troppo stringenti e illiberali (dal mio punto di vista, non condivisibili) scelte per farlo.
Comunque la si pensi sul greenpass, c’è una questione di fondo, che ha a che fare con lo stato d’animo di un paese già lacerato, insicuro, fragile, messo a durissima prova specialmente sul piano economico. Mi permetto di dire: non ci si facciano illusioni sui dati di crescita, sia perché in tempi come questi l’incertezza regna sovrana, e anche significativi “segni più” potrebbero improvvisamente rattrappirsi e ridimensionarsi, sia perché avremo a che fare con realtà molto disuguali: la grande impresa è robusta a sufficienza per conquistare una ripresa sperabilmente sostenuta, mentre la piccola e media impresa (e i relativi dipendenti) rischiano di avere a che fare con almeno un altro semestre drammatico, fatto (quando va bene) di chiusure silenziose e sospensioni ordinate di attività, e (quando va male) di fallimenti deflagranti e ingestibili.
Un paese così incerto, così carico di tensioni emotive, non ha bisogno di altre linee di frattura.
Chi scrive – come detto – non condivide molti aspetti della disciplina normativa adottata sul greenpass, ma ciò che preoccupa – ancora di più – è il clima da crociata, la messa all’indice (mediaticamente parlando) degli incerti rispetto alla vaccinazione, la creazione di un clima di paura e di panico che non solo è contraddetto dai dati delle ospedalizzazioni (assolutamente sotto controllo, finora), ma rischia di generare effetti microeconomici pesantissimi, in termini di disdette, mancate prenotazioni, disincentivi al consumo e alla fruizione di servizi.
Non abbiamo bisogno di questo. E meno che mai abbiamo bisogno di una guerra tra due Italie, quella che il politologo Luigi Curini, con felice e inquietante neologismo, ha chiamato “guerra di bioclasse”.
Mario Draghi avrebbe tutte le qualità per proporsi come uomo di sutura e di ricucitura, non di ulteriore rottura; di rassicurazione, non di ulteriore agitazione; di unificazione, non di ulteriore polarizzazione. Comunque la si pensi nel merito, lo stato d’animo di un paese è precondizione essenziale per una vera ripartenza: sarà bene che il premier si ponga questo problema, e si tenga alla larga dai suoi ministri più divisivi e disattenti alle esigenze delle imprese. Rimanere prigionieri della trappola della nevrastenia collettiva e della reciproca colpevolizzazione non è un buon viatico per un autunno che si annuncia delicatissimo.