Non è una forzatura. La più antica banca del mondo, nata nel 1472 prima che l’America fosse scoperta da Cristoforo Colombo, è stata per quasi cinque secoli una banca di pegno e credito fondiario. Poi con la legge bancaria del 1936 si è trasformata in istituto creditizio. Monte dei Paschi di Siena (il “Monte” per gli addetti ai lavori) è oggi lei stessa sul banco dei pegni a caccia di un possibile acquirente, in un climax da corsi e ricorsi storici di vichiana memoria che probabilmente la porterà tra le braccia di Unicredit, guidata da Andrea Orcel.
Con lo Stato azionista al 70% la questione è già diventata molto politica. Per giunta all’inizio del semestre bianco e in un periodo di accesa campagna elettorale estiva. Sono ore caldissime. Fonti vicine alla banca senese riferiscono che neanche il Consiglio di Amministrazione, convocato per giovedì 5 agosto, abbia ancora i dettagli del dossier dell’acquisizione. Per questo motivo da più parti si sta chiedendo che la discussione su MPS venga portata in Parlamento. Domani sera 4 agosto alle 20 il ministro Franco dovrebbe riferire a riguardo in audizione presso le Commissioni riunite Finanza.
Il Monte è in crisi. I più recenti stress test condotti da Eba (autorità UE di controllo sulle banche) hanno lasciato il segno. L’istituto senese guidato è risultato maglia nera tra le peggiori 50 banche in Europa per solidità finanziaria. Avrebbe bisogno di ulteriori 2,5 miliardi di euro di ricapitalizzazione per sopravvivere. Pensate: nel solo aumento di capitale del 2017 da 8,8 miliardi di euro lo Stato italiano (da allora azionista al 70%) ha sborsato 6 miliardi di euro. Lasciando sul campo 5500 esuberi, il progetto di chiusura di 600 filiali entro il 2021 e soprattutto 28,6 miliardi di euro di Npl (crediti in sofferenza). Lo scenario di una possibile acquisizione da parte di Unicredit oggi potrebbe rivelarsi per alcuni aspetti simile al 2017. E questo la politica lo sa benissimo.
Dopo cinque secoli di gloria, la discesa libera (con o senza paracadute, vedremo) del Montepaschi è stata ripidissima ed è durata appena 22 anni. Per tutti gli anni ‘90 quarto istituto italiano per capitalizzazione, nel 1999 il Monte si è quotato in Borsa con richieste di azioni pari a 10 volte l’offerta disponibile. E depositi che toccavano la quota record di 160 miliardi di euro (oggi scesi attorno ai 100 miliardi).
Eppure il Secolo breve XXI per Siena sarà ricordato come quello del fantomatico nodo semplice legato troppo in cima alla fune, raramente usato nella nautica perché ha il difetto di stringersi troppo danneggiando le fibre del cavo. Il nodo è semplicissimo da annodare, molto difficile da sciogliere.
Il nodo semplice è stato legato nel 2007, quando MPS acquistò Antonveneta per una cifra spropositata: 9 miliardi di euro di esborso diretto, oltre alla presa in carico del debito da 7,5 miliardi di euro che Antonveneta aveva verso Abn Amro. Follia pura, acuita dall’alba della crisi dei mutui subprime. Risultato? Primo aumento di capitale da 9 miliardi di euro. Segue sviscerata passione crescente nel tempo per i bond: prima per quelli di Tremonti (sottoscritti per 1,9 miliardi di euro) e poi per quelli di Monti (3,9 miliardi). Una storia di errori e salvataggi simile per certi versi anche alla vicenda Alitalia. Totale aumenti di capitale da pagare in cassa dal 2007 a oggi: 20 miliardi di euro.
Ora lo Stato italiano si è impegnato con l’UE a uscire dal capitale di MPS entro fine anno. Ed è per questo che il governo Draghi vuole far presto e bene a sciogliere il nodo semplice Mps. Sul presto il ministro Franco, in stretta collaborazione con Draghi stesso, ha creato una data room annunciata dal Vicemninistro Laura Castelli (ne abbiamo già scritto qui) per dare tutte le informazioni utili e garantire la necessaria trasparenza sulla reale situazione del Monte ai potenziali interessati all’acquisto. E nella data room è entrata Unicredit. Ma dal presto al bene il passo non è affatto facile.
Unicredit e il Monte sono il bello e la bestia. Il gruppo bancario italiano più internazionalizzato e in un certo senso moderno è ufficialmente promesso sposo della signora delle banche, anziana e nobile per definizione, decaduta per mala gestione. I due vorrebbero sposarsi, ma lui è troppo giovane e vigoroso rispetto a lei che è troppo anziana e malata. E i sospetti di un matrimonio di sola convenienza ci sono tutti. Tra i due promessi sposi ci sono anzitutto i lavoratori rimasti al Monte, su cui pende la spada di Damocle con su scritto “Esuberi”. Gli addetti Mps dieci anni fa erano 30mila, oggi sono 20mila, di cui 2600 appartenenti alla Direzione. Sono circa un quarto degli 80mila di Unicredit.
Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, in una lettera al Corriere della Sera: “I dipendenti di Mps vanno tutelati. Il tema va affrontato subito avviando un tavolo di confronto”, e sul potenziale spezzatino del Monte “va evitato, anche lo Stato deve fare la sua parte mantenendo una partecipazione diretta come garanzia nei confronti delle istanze dei lavoratori e del territorio supportando la comunità senese nella costruzione di un futuro di minore dipendenza dalla banca”.
Il piano dell’Ad di Unicredit Andrea Orcel per il Monte ha in valutazione 1250 sportelli MPS su un totale di 1400. La ragione è semplice: i restanti 150 sono “untouchable” per ragioni di Antitrust: eccessiva sovrapposizione sul territorio in Emilia Romagna, Sicilia, Puglia. Per la gestione degli esuberi secondo La Stampa ci sarebbe la volontà di rifinanziare il Fondo dedicato con un miliardo di euro, che coprirebbe circa 6mila prepensionamenti con un anticipo di 7 anni.
Anche la tutela dello storico marchio MPS è sotto la lente di osservazione. E non solo di Orcel. Matteo Salvini: “Ora tutelare il marchio e l’occupazione. Con una banca dei territori”. Sempre dalla Lega rilancia Giulio Centemero (Commissione inchiesta sistema bancario e finanziario): “L’ipotesi di privatizzazione allo studio potrebbe comportare non solo una soppressione dei circa 1400 sportelli, con riflessi negativi sul territorio, ma anche l’incertezza lavorativa per 21mila lavoratori, con circa 6mila esuberi attesi. Vanno chiariti i costi diretti e indiretti per l’erario, derivanti dall’impegno di stabilizzare il Cet1 Unicredit (parametro che misura la solidità della banca ndr) dopo l’acquisizione e l’onere da sostenere per l’acquisizione delle componenti di attivo non comprese nell’accordo, ove ricada su istituti che rientrino nel perimetro pubblico”.
Il Sottosegretario al MEF, Claudio Durigon: “Senza il blocco dei 6mila esuberi e il mantenimento del marchio MPS è giusto un rinvio”. Sulla stessa linea anche Michele Gubitosa (M5S), Commissione Bilancio: “Quello che il Governo dovrebbe fare è chiedere più tempo”.
Draghi accelera, i partiti sembrano voler rallentare per cautela.
Il matrimonio Unicredit-Mps scatena gelosie pericolose. Draghi anche stavolta le spegnerà?