Politica
Questione israelo-palestinese in audizione: “Rimettere tutto in discussione per raggiungere la pace”
Di Valentina Ricci
Stati Uniti che lavorano ad un’intesa con Teheran, a condizione che venga rispettato l’accordo sul nucleare iraniano negoziato da Obama. Un confine siriano e libanese relativamente tranquillo, con 160mila missili a disposizione di Hezbollah. Una variante a sé è la Turchia, che con Erdogan sta mettendo in campo delle politiche tutt’altro che compatibili con le regole del buon vicinato.
Questo il quadro che circonda Israele, tenuto d’occhio costantemente dalle organizzazioni internazionali e protagonista di nuovi scontri interni e polemiche che affondano radici profonde nella storia.
All’interno del mondo palestinese c’è un forte scontro interno, Fiamma Nirenstein, giornalista ed esperta di geopolitica, audita in commissione esteri della Camera, spiega: “Una grande debolezza di Abu Mazen che Hamas ha deciso di sfruttare in quanto in grado di prenderne il posto nella battaglia israeliana. Lo stesso Abu Mazen non ha mai condannato le prese di posizione di Hamas per non turbare l’opinione pubblica. Queste forze non sono un pericolo solo per Israele, ma in generale per l’area mediorientale, quindi la necessità di una pace passa per il terrorismo di queste forze devote alla distruzione dichiarata di Israele”.
La punta dell’iceberg sono le tensioni nel quartiere di Sheikh Jarrah e gli scontri sulle moschee, quindi una questione giudiziaria e una “religiosa”, scavando si trovano le elezioni palestinesi rimandate. In seguito agli attacchi di Hamas dello scorso 10 maggio, neutralizzato al 90% dal sistema antimissile Iron Dome, la cancelliera Merkel dichiara che Israele è sotto attacco di una forza terroristica e così si adeguano anche altri leader globali.
Alex Zarfati, presidente dell’associazione “Progetto Dreyfus” nella stessa audizione, riporta uno schema classico con cui agisce Hamas: sfruttare le tensioni, incitare alla rivolta, attaccare senza interessarsi chi ne paghi il prezzo e accettare una tregua al momento giusto dopo la difesa di Israele.
A ordine stabilito i luoghi sacri sono aperti, stando all’esperienza di Zarfati che dichiara: “La verità è che Israele ha sempre favorito il fatto che si possa pregare nei luoghi santi, l’attacco non ha nulla a che vedere con la contesa del quartiere. Questo è il risultato di una concomitanza importante con le elezioni palestinesi, Hamas si sentiva la vittoria in tasca e ha sfogato questa frustrazione nella maniera che meglio conosce con una strategia per guadagnare potere politicamente. In Israele c’era anche la concomitanza della confusione politica che aveva difficoltà a formare un nuovo governo”. Siamo a Gerusalemme, tutto è parte di rivendicazioni politiche e di strumentalizzazione.
Quindi come e dove si può trovare un punto di incontro? La strada sono gli Accordi di Abramo nei quali deve rientrare l’autonomia palestinese, una via indicata sia da Nirenstein che da Zarfati. Un pensiero che condivide anche l’On. Orsini (FI): “Esiste qualcuno nel mondo palestinese consapevole del fatto che autoescludersi dagli Accordi è una scelta suicida per la pace e per i palestinesi stessi?”, interviene anche l’On. Snider (Lega): “Chiamarli ‘Accordi di Abramo’ non può aver solleticato qualcuno dal punto di vista religioso?” Nirenstein risponde: “La questione religiosa è fondamentale, gli Accordi di Abramo sono importanti per questo e perché si tratta del padre fondatore delle tre religioni monoteiste di cui si parla”.
Sul contesto internazionale l’On. Migliore (IV): “Gli Accordi di Abramo sono un passo importante, ma il loro stallo non può dipendere dalla volontà dei palestinesi o da posizioni molto radicali e inaccettabili come quelle della Turchia e di altri Paesi che sono schierati in maniera pregiudiziale contro Israele”. Prendendo ad esempio la nascita dell’Europa dalle ceneri della seconda guerra mondiale Nirenstein risponde netta: “In quel contesto vi era un universale comprensione reciproca, ma bisogna essere in due per ballare il tango e questo è un tentativo continuo che non si riesce a portare a compimento”.
Avendo ben chiaro il profilo di Hamas ed il diritto di esistere di Israele, ma rimane la questione dei continui insediamenti in Cisgiordania, il tentativo di annessione sia della valle del Giordano che di Gerusalemme come capitale indivisibile da parte di Israele. Temi messi messi in campo dal presidente Fassino che dichiara: “Nel momento in cui bisogna fare una battaglia durissima contro chiunque contesti il diritto di vivere a Israele non può ignorare che una soluzione della questione israelo-palestinese passa per creare le condizioni perché uno stato palestinese ci sia. Se c’è un’erosione dei territori continua della Cisgiordania oltre a un certo limite lo stato palestinese non ha più le dimensioni per esistere per esempio, il tema è come si rilancia un processo di pace”. La risposta a tali questioni secondo Nirenstein si trova negli accordi di Oslo firmati da Rabin e Arafat: “La questione dei territori occupati va vista in un altro modo e quei territori che nel ‘67 Israele occupò erano territori occupati dalla Giordania e questa appartenenza non era mai stata riconosciuta da nessuno, erano territori vuoti e a seguito di questa guerra furono successivamente occupati”.
Fassino interviene: “Se si mettono in moto degli accordi di pace bisogna rimettere in discussione tutto, compresi i confini del 67 visti gli equilibri cambiati”. Sapendo che l’obiettivo è cercare una modalità possibile per raggiungere la pace.