Economia
Patto di stabilità e Pnrr, il futuro dell’economia è una partita a scacchi
Di Giampiero Cinelli
Le vicine elezioni europee stanno favorendo discussioni su temi molto ampi e fondamentali, togliendo però il focus su questioni di più medio termine, concrete, economiche. Il governo spera in una Europa nuova, a guida conservatrice e si pone il problema della collocazione internazionale, incalzato dagli attuali problemi di politica estera, ma sta anche percorrendo in questo momento una traiettoria ben precisa in fatto di conti pubblici, investimenti e scadenze. Se magari ciò è secondario, non ha minori conseguenze sulla vita delle persone.
Specialmente in questa fase, si sono intrecciati i dossier del Def, del nuovo Patto di Stabilità, delle sempre aleggianti regole di bilancio e del Pnrr. In sostanza, le risorse a disposizione vanno relazionate a una serie di obiettivi e di vincoli, senza dimenticare la prospettiva da qui a 2-3 anni quando, con i fondi del Pnrr da restituire, torneranno le norme su deficit e debito da rispettare.
A quel punto, senza tanti fronzoli, il governo dovrà fare riferimento alle proprie casse per vedere come impostare l’azione. Ma difficile essere tranquilli se i tassi di crescita restano sui livelli di quello atteso per il 2024 (Pil in crescita dell’1%).
Ecco perché il governo ha presentato ora un Def con solo la parte tendenziale (cioè di previsioni grezze, non di stime in virtù del programma da attuare). Si naviga a vista, comunque senza disperare, e si mettono in conto future privatizzazioni per gestire le incertezze.
Il Patto di Stabilità è stato modificato e consente piani di rientro pluriennali. Inoltre è stato abbandonato l’indicatore dell’output gap, che era una valutazione delle potenzialità del Pil di un Paese, che influivano sulle sue possibilità di spesa (così come l’altro indicatore analogo del deficit strutturale). Il debito poi non dovrà più essere ridotto di un ventesimo l’anno, gli eventuali tagli saranno più contenuti. Tuttavia non si esce da una logica generale di supervisione da parte delle istituzioni europee, che indurranno inevitabilmente il governo a una certa prudenza, anche qualora dovesse inficiare i suoi obiettivi e le aspettative dei cittadini. Il tutto, accennavamo sopra, tornando a seguire anche i classici vincoli del 3% e del 60%.
Cosa fare dunque? Massimizzare i possibili effetti positivi del Pnrr, della riduzione fiscale e della flessibilità di bilancio possibile nel 2024. Sperando peraltro che l’inflazione residua renda meno pesante il debito. E sfruttando poi la capacità immutata dei privati a esportare (un fattore che aiuta l’Italia a mantenere una posizione contabile nei confronti dell’estero più positiva).
I fondi del Pnrr vanno restituiti dal 2026 e l’ambizioso piano toglie energie e attenzioni dalla gestione invece del bilancio europeo 2021-2027. Tuttavia questo è comprensibile, perché quando la situazione presenta dinamiche stringenti, la leva degli investimenti pubblici è la chiave per avere gli effetti sperati. Per questo il governo con Raffaele Fitto mantiene una continua interlocuzione con la Commissione e punta a non perdere un centesimo dei fondi ottenuti, anche se convinto a spostare parte di quei fondi su altri canali e progetti diversi dal Pnrr.