Esteri
Israele attacca una base iraniana. Cosa sappiamo fin ora e cosa vuol dire
Di Giampiero Cinelli
Alle quattro del mattino Israele ha attaccato l’Iran. L’azione localizzata nella base militare di Esfahan dove ci sono state delle esplosioni, probabilmente causate tramite droni. Le conseguenze non sono state gravi e ora a Esfahan tutte le attività urbane continuano. Per ora le autorità iraniane non hanno palesato di voler rispondere all’attacco, perché, come ha dichiarato il capo dell’esercito di Teheran Mousavi, «Israele ha già visto la risposta dell’Iran», ma Tel Aviv ha motivato la sua decisione come precauzione da una minaccia iraniana di più ampia scala.
Nella stessa giornata si sono rilevati anche attacchi in Siria, mentre fanno discutere le parole dello stesso Mousavi, secondo cui sono «assurdi» i rapporti che attribuiscono ad Israele gli attacchi a Esfahan, sostenendo che le esplosioni erano il suono dell’abbattimento di «oggetti volanti». Lo riporta Iran International.
Non è l’unica analisi che genera perplessità, perché c’è anche chi dice che l’attacco in Iran nella notte «è stato condotto da piccoli droni, possibilmente lanciati dall’interno del Paese stesso». Lo ha dichiarato una fonte iraniana al New York Times, ripresa da Haaretz. Secondo la stessa fonte, «i sistemi radar del Paese non hanno intercettato velivoli non identificati entrati nello spazio aereo dell’Iran».
A quanto pare gli Stati Uniti erano stati avvertiti il giorno prima dell’iniziativa e non avevano espresso il loro consenso. Quanto è successo non fa che gettare maggiore tensione nell’area mediorientale e i membri del G7 sono già in fermento. Tuttavia, da una parte Washington non è intenzionata nell’immediato a riconoscere lo Stato di Palestina, dall’altra abbiamo assistito in questi giorni ad eventi sì violenti ma certamente circoscritti, che appaiono più delle prove di forza volte a non far trascurare all’avversario la capacità di fronteggiare possibili invasioni.
Il senso di quanto stiamo vedendo risiede nella volontà, israeliana e iraniana, di rimodellare gli equilibri in Medioriente, scalzando i Paesi ostili. Vi aspira Tel Aviv che vorrebbe chiudere definitivamente la partita palestinese e con i suoi alleati, ma lo desidera anche Teheran, convinta di potersi riaffermare come potenza nel mondo islamico. Per adesso, dal punto di vista geopolitico, pare essere in vantaggio Israele, che in questo periodo ha guadagnato l’apertura (e il supporto nell’attacco iraniano) dell’Arabia Saudita, con cui non ha rapporti diplomatici, e dell’Egitto, che non si sta mostrando avverso, e ciò è di assoluta rilevanza alla luce del passato.
Ad ogni modo, in questo momento gli Stati Uniti, grandi nemici dell’Iran, preferiscono sbrogliare la matassa e a Netanyahu hanno messo sul tavolo il riconoscimento della Palestina in cambio della piena apertura diplomatica dell’Arabia Saudita, al quale a loro volta gli Usa offrirebbero maggiore difesa militare.
Allo stesso tempo l’operato di Israele, rigido e assai cruento, non agevola le trattative e pone Tel Aviv in una veste negativa davanti al mondo, nonostante sia stata lei a ricevere per prima l’attacco di Hamas. Peraltro, una situazione di instabilità con movimento di armamenti portato avanti troppo a lungo, può condurre a esiti inaspettati e molto più pericolosi che nessuno vuole.