Nella lunga corsa elettorale verso il voto delle europee questa settimana politica è stata “ingombrata”, almeno a livello mediatico, dal cosiddetto “voltafaccia” della Meloni nei confronti della Von der Leyen, anche se a dirla tutta, le dichiarazioni della premier non sono sembrate tanto uno strappo quanto la rappresentazione di una cosa abbastanza ovvia. Riavvolgiamo per un attimo il nastro. In settimana Giorgia Meloni in un’intervista da Bruno Vespa ha spiegato: «Con von der Leyen ho costruito una collaborazione perché era doveroso farlo. Le elezioni poi sono un’altra cosa».
Come darle torto? Sarebbe stato criticabile se, al contrario, pur di fare opposizione politica la premier di uno degli stati cardine dell’Ue avesse costruito un rapporto conflittuale e discontinuo con la sua omologa europea. Poi, chi farà il presidente della Commissione si vedrà sulla base di come votano i cittadini, non si decide prima “a tavolino”.
Detto ciò, è ovvio che la Meloni fa anche politica interna e sa bene che queste elezioni siano cruciali per la tenuta della sua maggioranza. Ecco perché ha anche precisato: «L’obiettivo è portare il modello italiano in Europa con una maggioranza di centrodestra con al centro i conservatori, che possono essere l’ago della bilancia, il presidente della Commissione arriva dopo», ha ribadito, ricordando alla sua coalizione che «l’unica cosa da non fare è dividerci tra di noi, perché così facciamo un favore alla sinistra».
E questo lei lo sa bene, ecco perché ha blindato Salvini e Santanché dall’attacco parlamentare delle opposizioni che hanno messo ai voti le rispettive mozioni di sfiducia in settimana (quella di Salvini per il rapporto “Russia unita” e quella della Santanché legata all’inchiesta giudiziaria che la vede coinvolta). Il voto dell’Aula ha collaudato la maggioranza: 211 no, 129 sì e 3 astenuti per Salvini; 213 no, 121 sì e 3 astenuti per la Santanché.
Sul fronte estero, invece, la Pasqua non ha lenito l’aggressività del conflitto in Medio Oriente. Nonostante gli accorati appelli del Papa per un cessate il fuoco, gli scontri sono continuati e l’emergenza umanitaria è tornata di grande urgenza, al punto che proprio venerdì il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite ha adottato una risoluzione nella quale chiede che Israele sia ritenuto responsabile di eventuali crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza.
A votare a favore sono stati 28 Paesi, mentre 13 si sono astenuti e sei hanno votato contro la risoluzione. Gli Stati Uniti hanno accolto con favore gli ultimi impegni di Israele per consentire l’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza, come ha detto il segretario di Stato Anthony Blinken, che ha tuttavia sottolineato che il loro successo si misurerà in base ai risultati ottenuti nel tentare di migliorare la situazione sul campo.
E i numeri non promettono molto bene, basti pensare che solo nelle ultime ore (dati raccolti la mattina di venerdì, ndr) sono stati uccisi 54 palestinesi e 82 sono i feriti. Non solo, l’uccisione di sette operatori della ong World Central Kitchen (WCK) nella Striscia di Gaza da parte di Israele ha generato molte polemiche riguardo al comportamento dell’esercito israeliano, che ha ammesso la responsabilità dell’attacco ma ha sostenuto che fosse stato provocato da una «mancanza di coordinamento» con la Ong.
Perfino Joe Biden ha preso le distanze dal suo storico alleato definendo “inaccettabili” gli attacchi agli operatori umanitari e la situazione in cui versa la popolazione civile della Striscia: “la politica degli Usa rispetto a Gaza sarà determinata dalla valutazione dell’azione immediata di Israele su questi passi” ha concluso.