Esteri

Russia, Italia, Europa. Le rotte del consenso

23
Marzo 2024
Di Beatrice Telesio di Toritto

Con circa l’88% di preferenze, Vladimir Putin ha vinto le elezioni presidenziali tenutesi lo scorso fine settimana in Russia, registrando la più grande vittoria nella storia post-sovietica del paese. Era un risultato ampiamente atteso, considerando che da tempo le elezioni non si svolgono in modo libero e regolare e non rispettano alcuna garanzia democratica: non è stata ammessa  una vera opposizione al regime e il voto è avvenuto in un clima in cui ogni minimo dissenso nei confronti del presidente è stato sistematicamente represso. Gli altri tre candidati, quelli autorizzati dal Cremlino, hanno ottenuto solo tra il 2% e il 5% dei voti, mentre l’affluenza è stata di poco inferiore al 75%: un dato da record che però è stato fortemente influenzato dalle coercizioni del regime. Inizia così, fra non poche polemiche, il quinto mandato di Putin che terminerà formalmente nel 2030. Tuttavia l’emendamento costituzionale approvato qualche anno fa consente al presidente russo di rimanere al potere fino al 2036. Il Cremlino ha rivendicato la vittoria come un sostegno unanime da parte della popolazione alla guerra d’invasione dell’Ucraina e i media locali hanno più volte evidenziato che il voto rappresenta “un segnale ai Paesi occidentali”: nelle quattro regioni ucraine occupate e annesse nel settembre 2022 (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson) il punteggio del presidente russo ha oscillato tra l’88% e il 94%. In realtà, il trionfo elettorale di Putin, dovuto in buona parte all’irregolarità con cui si sono svolte le elezioni, sembra essere anche il risultato di tre elementi ormai strutturali nel paese: la mancanza di un’alternativa all’attuale presidente; la dipendenza di un gran numero di russi dallo Stato; la depoliticizzazione diffusa che spinge i cittadini a rimanere il più lontano possibile dalle questioni politiche, soprattutto per non mettersi in pericolo.

Unanime la condanna alle elezioni dalle cancellerie occidentali, le quali sono arrivate perfino a ipotizzare di disconoscere a livello formale Putin come capo di Stato legittimo della Federazione Russa. Anche la premier italiana si è espressa in tal senso, ribadendo il proprio sostegno a Kiev e disapprovando le elezioni “farsa”, soprattutto quelle in territorio ucraino. Eppure il voto russo è entrato ugualmente nel dibattito politico nostrano, dividendo la maggioranza di governo. A far molto discutere infatti le parole del vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, che sul responso delle urne ha sottolineato “quando un popolo vota ha sempre ragione: le elezioni fanno sempre bene, sia quando uno le vince sia quando uno le perde. Io quando le perdo cerco di capire dove ho sbagliato e come fare meglio la prossima volta”. Non è la prima volta che Salvini esprime posizioni quantomeno morbide nei confronti del regime di Putin che mettono in imbarazzo la maggioranza di Governo. Sebbene dalle parti di Via della Scrofa si è rispettata la consegna del silenzio sulle uscite vicepremier del Carroccio, l’irritazione è stata più che palpabile nel partito della premier Giorgia Meloni, che ha fatto dell’atlantismo e del sostegno a Kiev uno dei pilastri della sua politica estera.

A maggior ragione se la polemica interna arriva alla vigilia di un appuntamento importante come quello del Consiglio Europeo a cui la Meloni ha preso parte nelle giornate di giovedì e venerdì. Temi come difesa comune, politica agricola, allargamento dell’alleanza e soprattutto la guerra in Ucraina sono stati al centro del dibattito tra i ventisette capi di stato. Alimentato da quello che il presidente del Consiglio Charles Michel ha definito un nuovo “senso di urgenza” riguardo alla guerra in Ucraina, l’assemblea ha discusso un aumento radicale del sostegno militare e finanziario a Kiev. Per passare dalle parole ai fatti, i 27 valuteranno anche l’ipotesi di confiscare miliardi di euro di interessi su asset e fondi russi congelati dall’inizio del conflitto: un modo per far pagare a Mosca le armi destinate all’Ucraina. Ma è possibile che i tribunali internazionali condannino la mossa, sulla base dei trattati e del diritto, e costringano alla restituzione del denaro, distruggendo così la reputazione dell’Europa come rifugio sicuro per gli investitori. 

Nel frattempo, cresce in Europa la destra radicale, come sembrano confermare anche le recenti tornate elettorali in Olanda e in Portogallo. Occhi puntati infatti sulle prossime elezioni Europee, in programma per giugno, dove per la prima volta la destra potrebbe conquistare più di un quinto dei seggi nel nuovo Parlamento. Tuttavia un recente sondaggio di Ipsos condotto per Euronews ha stimato che i partiti di estrema destra e ultraconservatori non avrebbero abbastanza seggi per formare una propria coalizione di maggioranza, pur essendo avanti in tutta l’Ue. Secondo le rilevazioni, la maggioranza parlamentare più valida è attualmente la grande coalizione pro-Ue composta dalla somma politica e aritmetica del Partito popolare europeo (Ppe) di centrodestra, da quello dei socialisti, dei democratici e dei liberal-democratici di Renew Europe: la stessa maggioranza della legislatura uscente. Nonostante l’avanzata delle destre, sembra possibile che gli equilibri di Strasburgo non siano destinati ad essere radicalmente scossi. 

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