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USA 2024: – 228, processi, Trump gioca al rinvio e i giudici gli tengono bordone

21
Marzo 2024
Di Giampiero Gramaglia

Succede in USA 2024 qualcosa che in Italia è cosa già vista a risaputa: l’accusato ricco e famoso proclama la propria innocenza, ma non ha nessuna fretta di essere assolto, anche perché rischia di essere condannato; dunque, non vuole andare a processo il più rapidamente possibile per dimostrare la propria estraneità, ma cerca di dilazionare, rinviare, procrastinare il più possibile, utilizzando tutto l’arsenale di strumenti legali a sua disposizione e intasando la magistratura di ricorsi, appelli, eccezioni.

Ovviamente, tutto ciò ha un costo: stuoli di avvocati da pagare per azzeccare il garbuglio giusto che vanga un rinvio e, magari, il balenio di una decorrenza dei termini. Essere garantisti è giusto; ma questo è un garantismo in versione di lusso per ricchi. Ma, del resto, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un povero vada alla Casa Bianca.

Negli Usa, dove la giustizia non è sempre giusta, ma di solito è spedita, sta accadendo esattamente la stessa cosa: con una variante che è un’aggravante, la sudditanza politica di giudici nominati dal potere politico. Sull’ex presidente Donald Trump, candidato repubblicano in pectore a USA 2024, pesano 88 capi d’accusa in quattro processi: due federali, a Washington e in Florida; uno statale, in Georgia; e uno locale, a New York. Ma il magnate può riuscire a evitare che i dibattimenti, o almeno alcuni di essi, inizino prima delle elezioni presidenziali del 5 novembre; ed è ormai quasi certo che nessuno vada a sentenza prima del voto.

La stampa Usa mainstream e liberal segnala comportamenti anomali, nei suoi confronti, di giudici di vario livello: dalla Corte Suprema, dove, su nove giudici, sei sono conservatori – e tre di questi scelti da Trump quand’era presidente – e tre progressisti; e di singoli magistrati.

In particolare, fanno molto discutere le scelte di Aileen Cannon, che presiede al processo in Florida sui documenti riservati illegalmente portati via dalla Casa Bianca e illegalmente – e malamente – custoditi da Trump nelle sue residenze. Il Washington Post cita esperti legali, secondo cui le scelte di Cannon sono “molto molto singolari”, dal punto di vista del diritto. Risultato: il giudice non ha ancora fissato l’inizio del processo, che sembrava potesse iniziare il 20 maggio, ma che sicuramente slitterà.

In Georgia, la difesa d’uno degli imputati ha tirato fuori storie di lenzuola tra la PM e un suo collaboratore, la cui rilevanza nel caso resta misteriosa. Un giudice ha deciso che il processo può andare avanti, essendosi sciolti fra i due sia il legame sentimentale che quello professionale, ma ha contestualmente ammesso un ricorso contro la sua sentenza. E così il procedimento resta bloccato.

A Washington, la ‘madre di tutti i processi’, quello sul ruolo dell’allora presidente nell’insurrezione del 6 gennaio 2021 per rovesciare l’esito delle elezioni, attende che la Corte Suprema si pronunci sulla pretesa d’immunità di Trump. E la Corte Suprema se la prende comoda: il 22 aprile, ascolterà le parti; forse prima dell’estate, darà il suo parere; dopo di che mancheranno più o meno 100 giorni al voto e saranno pochi per fare il processo e arrivare a sentenza,

Sempre che la Corte Suprema non avalli la tesi dell’immunità. Alcune decisioni dei giudici supremi, tutte pro – Trump, appaiono discutibili o almeno contraddittorie: affermano le prerogative federali su quelle statali, quando si tratta di non escludere Trump dalle liste; ma poi consentono a uno Stato, il Texas, di prevaricare le leggi federali, quando si tratta di migranti.

Resta il processo di New York sul pagamento in nero coi soldi degli elettori per comprare il silenzio di due donne su storie del passato con il magnate durante la campagna elettorale 2016. Lì si doveva cominciare il 25 marzo, ma c’è stata una richiesta di rinvio di un mese – accolta – per approfondire l’esame di nuove carte: sui magistrati di New York non c’è ombra di pregiudizi favorevoli a Trump, anzi è piuttosto il contrario.

Nella giustizia ordinaria, dunque, tutto fermo al palo di partenza, o quasi. Mentre va, invece, avanti la speciosa inchiesta della commissione di sorveglianza della Camera che istruisce l’impeachment contro il presidente Joe Biden: mancano del tutto le prove dell’asserto, ma l’obiettivo è solo quello di mettere in difficoltà il presidente.

James Comer, repubblicano, presidente della commissione, ha annunciato che intende convocare Biden a deporre. “Nei prossimi giorni, inviterò il presidente Biden alla commissione di sorveglianza per … spiegare perché la sua famiglia ha ricevuto decine di milioni di dollari” – affermazione non sostanziata, al momento, da alcun dato -. L’udienza dovrebbe essere pubblica, riferisce Politico: evidente l’intenzione non di appurare la verità, ma di mettere in imbarazzo il presidente, magari sperando in qualche sua gaffe.

“Comer sa che più di 20 testimoni hanno riferito che il presidente non ha fatto nulla di male. Sa che le centinaia di migliaia di pagine di documenti che ha ricevuto hanno confutato le sue false accuse. Questa è una triste trovata alla fine di un impeachment morto. Basta così, amico”: è la replica su X del consigliere dell’ufficio legale della Casa Bianca Ian Sams.

USA 2024: Trump vuole in squadra il manager graziato colluso con la Russia

Donald Trump vuole ingaggiare come consigliere della sua campagna Paul Manafort, che fu già suo campaign manager nel 2016 e che lui graziò a fine mandato: era stato condannato per frode fiscale e bancaria nell’ambito dell’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate. Lo scrive il Washington Post: Manafort dovrebbe occuparsi della raccolta di fondi del magnate.

L’assunzione di Manafort riaprirebbe, secondo il giornale, il capitolo delle interferenze della Russia nelle elezioni del 2016, che secondo Mueller furono “ampie e sistematiche”. Mueller scoprì che Manafort aveva condiviso i dati dei sondaggi interni della campagna con un suo socio di lunga data che, secondo l’Fbi, aveva legami con l’intelligence di Mosca.

USA 2024: uscito il docufilm su Stormy Daniels

E’ uscito negli Stati Uniti il documentario ‘Stormy’, nel quale la pornostar Stepganie Clifford, alias Stormy Daniels, racconta le conseguenze dell’incontro nel 2006 con Donald Trump. Il docufilm arriva sulla piattaforma a pagamento Peacock prima dell’inizio del processo per i pagamenti in nero alla pornodiva fatti, con soldi degli elettori, per comprarne il silenzio durante la vittoriosa campagna elettorale 2016.

Daniels, che nel documentario diretto da Sarah Gibson dichiara di essere repubblicana, accusa Trump di non avere “mai pensato che donne come lei” possano contare.

Nel trailer del documentario, diffuso giorni fa, la donna dice: “Non mollerò, perché dico la verità”. Il film “scava nella vita di Stormy Daniels, racconta la sua storia e gli eventi che sono divenuti parte della storia americana”. Il documentario porta il pubblico dietro le quinte mentre la protagonista si barcamena tra l’essere madre e il suo lavoro, con immagini e video inediti.

USA 2024: ipotesi accordo anti-shutdown

CNN – Congressional leaders on Tuesday 19th of March formally announced a deal to fund the rest of the government through the fiscal year. House Speaker Mike Johnson announced the deal in a statement, saying he hopes the text of the legislation will be released “as soon as possible” — a key step expected before either chamber votes -. Congress has until 11:59 p.m. ET Friday 22th of March to pass the deal, and getting through both chambers is expected to take days. Johnson, a Louisiana Republican, will likely need many Democratic votes to pass the legislation as the far right wing of his conference has been pushing against the bill. And in the Democratic-controlled Senate, any one member of the narrowly divided chamber can slow down the process, pushing the federal government past its deadline.