Economia
L’Italia è davvero messa male? Il report della Fondazione Edison
Di Giampiero Cinelli
La caratteristica unica degli italiani è forse descrivere la loro nazione in modo nettamente negativo, senza alcuna possibilità di appello. Un atteggiamento che raramente i principali partner europei hanno. Ovviamente i cittadini tendenzialmente apprezzano il vivere in Italia e non nascondono l’orgoglio verso i segni distintivi dell’italianità, come il buon cibo, il giusto tempo libero, la gradevolezza dei luoghi, la relativa tranquillità. Eppure credono che la propria economia sia irrecuperabile, debole e che il Paese non sia in grado di giocarsela nello scacchiere internazionale.
Sentimenti in parte motivati da difetti strutturali esistenti, che tuttavia non rendono giustizia a una situazione che andrebbe vista nella sua ampiezza, considerando tutte le sfaccettature. Altrimenti, non si spiegherebbe perché l’Italia sia tuttora nel G7 e, sebbene debba fallire ogni giorno, quel giorno ogni volta si allontani.
La condizione economica a tutto tondo dell’Italia rispetto agli altri membri del G7, è stata elaborata dalla Fondazione Edison basandosi sulla banca dati Ameco della Commissione europea, nel report consegnato al governo in vista del prossimo G7. Sono i principali numeri positivi, su cui si può impostare l’azione futura. E riguardano Pil, crescita, debito, export, occupazione.
Pil
L’Italia nel periodo 2020-2023 ha fatto registrare una crescita del Pil pro-capite del 4,9% rispetto al 2019. Solo gli Usa hanno fatto meglio (5,5%). Nel biennio 2021-2022 la crescita è stata poderosa e anche nel 2023 il Pil ha avuto un incremento, dello 0,9%. Gli anni di crescita flebile, quelli in cui spesso leggevamo “zero virgola”, fanno riferimento alla fascia 2004-2013, la più negativa, in cui consumi privati e investimenti sono crollati, totalizzando nel decennio una crescita negativa del -0,8%. I motivi furono la crisi del 2008 e l’austerità derivante dalle ripercussioni della crisi greca. Forse è proprio in quel periodo che sui sviluppa il pessimismo degli italiani, ad ogni modo lo zero virgola ce lo siamo lasciati alle spalle e nel decennio 2014-2023 siamo cresciuti dell’1,1%.
Debito
Con una crescita adeguata, scende anche il debito. Nel 2020, a causa della pandemia, il rapporto debito/pil era salito al 154,9%. Nel 2023 si attesta al 137,3%. Qualcuno storcerà il naso facendo notare che al contempo abbiamo aumentato il rapporto deficit/Pil, cioè il saldo negativo tra entrate e uscite nel bilancio statale in rapporto a quanto prodotto, e ciò è vero, siccome è giunto al 7,2% nel 2023 e anche per via dei bonus edilizi. Resta il fatto che una politica più espansiva ha favorito gli investimenti e appunto la crescita, alleggerendo l’esposizione dello Stato nei confronti dei suoi creditori. Gran parte di questa cifra poi è determinata dalla spesa per interessi, senza la quale l’ammontare del disavanzo sarebbe in linea con quello di Spagna e Francia.
Export
La vocazione esportatrice dell’Italia si conferma. Il Paese è ad oggi il quinto esportatore mondiale dopo il Giappone, con un volume record di 677 miliardi di dollari. Grande la performance nei settori di yacht e nautica, mentre gli analisti si sorprendono per i risultati che riesce a raggiungere un tessuto produttivo fatto in gran parte da imprese medie e medio-grandi, 9.200 il nucleo, che realizza tre quarti del nostro export manufatturiero.
Occupazione, condizioni sociali
Tutto questo ha poi effetti sull’occupazione. Nel quarto trimestre al suo massimo storico (61,1%). Un grande impulso lo ha dato il settore delle costruzioni e, purtroppo, nella dinamica del lavoro a restare più indietro è sempre il meridione. Diminuiscono però, a livello nazionale, le persone in condizioni di “severa deprivazione sociale e materiale”, ovvero incapaci di far fronte a sette dei tredici fabbisogni basici indicati dall’Eurostat. I poveri nel 2022 sono scesi a 2.613 milioni, dai 7,386 milioni del 2015. Germania, Francia e Spagna hanno numeri maggiori nella fattispecie.
Industria 4.0
Gran parte del successo viene spesso attribuito dai media al Superbonus. Che certamente ha contato, ma secondo il report di Edison un grande impatto lo hanno avuto gli investimenti in innovazione. Le fabbriche italiane, anche le piccole e medie, si stanno mettendo al passo e sono ora molto più dotate di macchinari d’avanguardia e robot. Il Piano Industria 4.0 ha aumentato investimenti in impianti e macchinari del 7,1% nel 2021, il secondo tasso più alto del G7 dopo il Giappone. E nel 2022 l’Italia è risultata quarta nel mondo per numero di robot installati nei settori dei prodotti in metallo e dei macchinari industriali.
SOS Pnrr
In cosa allora siamo davvero indietro? Nell’attuazione del Pnrr e nel processo di digitalizzazione. Mancanze che rallentano e penalizzano le imprese, molte delle quali non possono ancora disporre della fibra ottica e devono barcamenarsi nel rapporto con la pubblica amministrazione, che spesso non dispone di dati open source e non riesce a espletare i processi in tempi utili.