Lavoro / Politica
Donna, mamma, lobbista. Il futuro di una carriera sempre più rosa
Di Fabiana Nacci
Quando Artemisia Gentileschi difese in tribunale la sua dignità di donna e di professionista nel Seicento dovette introdurre un neologismo: “pittora”. Una rivoluzione, per l’epoca. La professione del/della lobbista questo problema lo ha risolto ipso facto. Il perimetro terminologico era già pronto alle origini per fare spazio alle professioniste donne. Oggi sono tante. Sono brave. Sono vincenti. E con dignità e impegno stanno contribuendo a ridisegnare il profilo antropologico di una professione che, fino a vent’anni fa, era prerogativa maschile.
Il processo di emancipazione sta ridisegnando i paradigmi di questa complessa carriera, aprendo le porte a un futuro sempre più gender balanced. La strada è spianata, ma non è sempre facile percorrerla. Conciliare la carriera con l’essere donna, e mamma, anche in questo caso non è facile. E anche le stesse aziende se ne rendono conto e da tempo hanno adeguato le loro policy interne per favorire maggiore equilibrio di genere. Vediamo come.
Ne abbiamo parlato con tre autorevoli lobbiste: Francesca Chiocchetti, Public Affairs Director di Wind Tre, Rossana Rubino, Responsabile Health & Pharma di UTOPIA, e Ilaria Pratesi, Responsabile National Public Affairs di A2A.
Quali sono le best pratices e le policy in materia di empowerment femminile e di sostegno alla maternità messe in pratica dalla sua azienda?
Francesca Chiocchetti: «Sono stata assunta in Wind Tre quando ero incinta di tre mesi con le congratulazioni da parte dell’Ad e della HR Director. Ero incredula. Credo che questo racconti moltissimo sulla mia azienda. Wind Tre ha ottenuto un punteggio di 99,7%, superiore di +20,5% punti percentuali rispetto alla media delle 148 aziende italiane certificate, nella categoria “Diversity, Equity & Inclusion”, il 50% dei dipendenti sono donne e abbiamo ottenuto la certificazione “Equal Salary Certification” rilasciata dalla Equal salary Foundation. Con l’obiettivo di garantire l’uguaglianza di genere nell’accesso alla crescita, nei percorsi di sviluppo della carriera e nelle politiche retributive si continua a promuovere una cultura aperta e inclusiva, attraverso le diverse leve delle risorse umane. Inoltre l’esigenza di essere sempre più inclusivi nel sostenere la genitorialità con azioni concrete ha portato l’azienda a garantire il pagamento integrale della retribuzione del congedo di maternità facoltativa per ulteriori 4,5 mesi alle migliori condizioni standard e a progettare un nuovo modello di supporto che prevede, ad esempio, il rimborso della retta scolastica sostenuta dal dipendente per la frequenza di un qualsiasi asilo nido o scuola per l’infanzia su tutto il territorio nazionale».
Rossana Rubino: «UTOPIA è da sempre impegnata nella promozione e nel rispetto delle politiche di Diversity&Inclusion: oltre ad avere oggi il 50% di donne in ruoli apicali, ha definito nel corso degli anni un set di strumenti finalizzati a promuovere l’empowerment femminile. Un esempio è rappresentato dall’articolato programma di welfare dedicato a tutti i dipendenti, che è in grado di coprire le più importanti necessità che accompagnano la vita dei figli, da asili nido e baby sitter, fino a vacanze studio e libri scolastici. A questo si unisce la possibilità di godere di un’ampia flessibilità che consente – soprattutto a chi è genitore come me – di conciliare la vita familiare e lavorativa grazie ad un approccio basato sul raggiungimento dei risultati e la collaborazione tra team. L’impegno aziendale sul tema è stato recentemente testimoniato anche dalla sottoscrizione del Codice di autodisciplina per le imprese in favore della maternità, promosso dalla Ministra Roccella».
Ilaria Pratesi: «Nel 2023 il Gruppo A2A ha avviato un percorso Female Empowerment Journey: un’iniziativa di formazione rivolta a colleghe dirigenti e manager. Il progetto ha fornito un’opportunità di riflessione e crescita personale. L’obiettivo è stato quello di favorire una maggior consapevolezza sul proprio ruolo e la propria leadership, ponendo l’attenzione su diversity management, equità, inclusione e stereotipi. Inoltre, numerose sono le iniziative in ambito di sensibilizzazione e formazione per celebrare i valori di inclusione, rispetto ed “equità”, raggiungibili solo attraverso una sana collaborazione e alleanza tra Uomo e Donna, che si traduce per entrambi i generi nell’agire il proprio “potere”. Sempre nel 2023, 6 società del Gruppo hanno ottenuto la Certificazione sulla Parità di Genere dimostrando l’impegno concreto nel promuovere un cambiamento culturale che garantisca l’equità di genere. Nell 2023 sono state inoltre consolidate due importanti iniziative: un percorso dedicato alle future mamme; e un team coaching per i neogenitori e i loro manager».
Come riesce a bilanciare la sua vita privata di donna-mamma con quella lavorativa?
F:C: «Sicuramente è questione di organizzazione. Qualcosa ci rimette sempre, nel mio caso ci rimetto io, ho meno tempo per me, ho dovuto sacrificare un po’ la mia socialità. Ma ho preferito questa soluzione piuttosto che togliere tempo a mia figlia o al lavoro. Certamente l’essere diventata mamma mi ha consegnato una diversa concezione del tempo: voglio che il tempo che tolgo alla mia funzione di mamma sia speso molto bene e non vada sprecato, quindi mi impegno per lavorare meglio ed essere più performante. Insomma è una condizione che sprigiona nuove energie che prima non pensavo di avere. A questo aggiungerei che il fatto di avere una figlia femmina è per me un motivo di stimolo per rappresentare per lei un modello positivo. Per il resto è tutto gestione dell’imprevisto: il requisito numero uno per una mamma che lavora. Ma col tempo si matura una valida esperienza anche su questo».
R.R: «Trovare un equilibrio è molto difficile, ma non impossibile. La flessibilità e la possibilità di organizzare la giornata per obiettivi è lo strumento più importante per coniugare il lavoro, con i ritmi familiari, soprattutto in una grande città come Roma. Poi occorre sviluppare una capacità di delega, creare e coltivare un sano lavoro di squadra, elementi imprescindibili per un equilibrio in ufficio e nelle mura domestiche. Questa organizzazione comporta dei sacrifici e sicuramente non poche preoccupazioni, ma devo ammettere che è anche molto gratificante sentirsi ripagati da un sorriso di mia figlia o da una gratificazione professionale, perché so bene tutto l’impegno che c’è dietro. E il valore di quella sensazione di orgoglio ripaga tutti i miei sacrifici».
I.P: «In questa fase storica credo profondamente nell’importanza di trasmettere un messaggio “solidale” di fallibilità e imperfezione, entrambe nobilitate da un fattore abilitante chiave, l’impegno. La carriera non è fatta di astrazioni bensì di persone e di scelte; le donne che dedicano tempo ed energia al proprio lavoro e alla crescita personale certamente sottraggono tempo e spazio alla propria dimensione personale e famigliare, avventurandosi in registri quotidiani scanditi da sensi di colpa, pianificazioni granulari colme, pur nella loro scientifica aspirazione all’efficienza, di condizionali: “dovrei riuscire” a prendere i figli a scuola, a passare dal pediatra, a fare la spesa, a portarli a nuoto. Non ci sono formule di successo né istruzioni purtroppo; l’andatura corretta in alta quota è quella della velocità media e costante; è questa la metrica che scandisce il mio impegno quotidiano nella costante ricerca di un equilibrio vita-lavoro, nel quale è certamente centrale la collaborazione e la condivisione dei compiti con il/la proprio/a compagno/a di vita».
Un consiglio che, sulla base della sua esperienza, si sente di voler dare alle giovani lobbiste?
F. C: «Io non immaginavo di fare la carriera di lobbista. Quando ho iniziato, vent’anni fa, la professione del Public Affairs non era così strutturata e soprattutto c’erano poche donne. Il consiglio che mi sentirei di dare alle donne è di non lasciarsi intimidire dalla giacca e la cravatta. Ho un aneddoto: ricordo i miei primi cinque anni di lavoro, portavo sempre i tacchi, perché mi sentivo più credibile. Adesso dieci anni che non li indosso più, non ho più bisogno di caratterizzare la mia immagine, mi basta la mia professionalità. Questo è ancora un mondo a prevalenza maschile, soprattutto gli interlocutori istituzionali. Ma è grazie alle ragazze che si affacciano alla professione che questa cosa cambierà».
R.R: «Di coniugare le relazioni con i contenuti e, soprattutto, consiglio di studiare, approfondire, leggere, allontanandosi subito dall’idea che questo lavoro sia fatto solo di mondanità, strette di mano e agende telefoniche. Senza i contenuti, le relazioni hanno vita breve. In una professione come quella della lobbista, che nasce come prerogativa maschile, è importante per una donna imparare a ragionare anche con la testa da uomo, con elasticità, tolleranza e intelligenza, ma aggiungendo al ragionamento quell’energia e quella creatività che spesso solo una donna può esprimere».
I.P: «In questo mestiere, come in qualsiasi altro, la chiave di successo è, ancora una volta, l’impegno, unito al prerequisito fondamentale della predisposizione al dialogo, al confronto con il decisore pubblico e con i “competitor”. Ad una giovane lobbista mi permetterei di suggerire di non temere i fuori pista, i percorsi tortuosi e accidentati perché consentono di arricchire il proprio bagaglio e conferiscono inattese capacità di lettura della “big picture” di cui è sovente richiesta una capacità di analisi, anche predittiva. A questo aggiungerei un’esortazione a mantenere sempre ben salda la presa ai principi e valori più importanti. Quando al nostro ruolo sociale e alla nostra professione anteponiamo sensibilità, empatia e indulgenza – qualità dalla forte caratterizzazione femminile – il margine di errore si riduce al minimo».