Guardatelo e riguardatelo il sondaggio di Skuola.net, realizzato su un campione di 2500 alunni delle scuole superiori italiane.
Viene fuori che, all’arrivo di una pagella negativa, solo il 24% dei genitori ha mostrato irritazione o ha imposto una punizione, il 9% è rimasto indifferente alla novità, mentre ben il 67% ha espresso comprensione e ottimismo per un possibile recupero. Tradotto in italiano: solo una “capra” su quattro è stata punita dai genitori.
Per carità: una pagella negativa non è una tragedia. La tragedia sta però nell’inerzia dei genitori, nel loro farsi sempre più spesso fratelloni dei propri figli, compagni di giochi, o addirittura complici nello scaricare la colpa – elenco a caso – sulla prof che “mi ha preso di mira”, sul preside che “ce l’ha con me”, e via cercando vie di fuga-giustificazioni-alibi.
Mettiamola così: i predicozzi sono sempre noiosi, e mi guarderò bene dall’infliggerne uno ai lettori. Ma tutti abbiamo imparato – ciascuno in un momento diverso della propria vita, in una circostanza decisiva – che se scansi l’ostacolo anziché provare a saltarlo commetti l’errore più grave, che le strategie di aggiramento delle difficoltà sono devastanti, perché abituano un ragazzo all’idea che non ci sia mai una verifica, un redde rationem, un esame vero.
Non devo aggiungere che tipo di effetto questa errata convinzione possa determinare in un momento successivo, quando poi saranno le prove della vita a imporsi nella loro spietata durezza, a maggior ragione nei confronti di soggetti – a quel punto – psicologicamente impreparati sia a cadere che a rialzarsi.
Sarà bene parlarne. E non come divagazione. Ma come parte essenziale di un discorso pubblico che pare più orientato alla “ricreazione” che non ad affrontare i problemi reali.