Si fa presto a dire uva. Come se ne esistesse un tipo soltanto, buono per tutte le stagioni e per ogni uso. E invece l’uva è plurale per definizione, una e mille, anche se – come amano dire gli intenditori – è divisa in due categorie principali che prima di essere “di prodotto” sono categorie “filosofiche”: da vino e da tavola, bianca o nera.
Ecco, l’uva da tavola registra globalmente un trend di crescita positivo. E anche se il Vecchio Continente resta fuori dal podio del mercato intercontinentale – ben al di sotto dell’Asia che produce due terzi del totale e 10 milioni di tonnellate solo in Cina, con Sud America ed Africa, rispettivamente al 10% ed al 9% – l’uva da tavola rappresenta un mercato significativo per l’Italia, capofila europea a livello di export.
Con una media di 1 milione di tonnellate annue, il Belpaese punta in maniera decisa all’avanzamento e all’innovazione nella coltura della “table grapefruit”: l’obiettivo è coniugare i gusti dei consumatori e la remunerazione dei viticoltori del Paese, alle prese con stagioni climatiche e raccolti sempre più altalenanti.
La sperimentazione dell’Università di Palermo
A questo proposito, esiste ed è molto interessante, la sperimentazione dell’Università di Palermo (la Sicilia produce il 30% dell’uva da tavola italiana), guidata dal professor Rosario Di Lorenzo, per destagionalizzare le produzioni con impianti “fuori suolo”: «La genetica ha permesso fin qui di creare acini più grossi seppur senza semi (partendo dall’antica varietà persiana apirena, l’uva sultanina), con una maggior gradazione zuccherina, un aroma moscato e diverse colorazioni, ma un altro carattere chiave per migliorare le cultivar è la precocità». A parlare è Bruno Mezzetti, professore di Breeding e biotecnologie delle colture frutticole dell’Università Politecnica delle Marche.
L’obiettivo, dunque, è «anticipare la produzione e adattare le viti ad ambienti climatici sempre più caldi». Con la tecnica del “fuori suolo”, infatti, si allevano piante in vaso con sistemi intensivi e in ambiente protetto, in serra. Ovviamente, spiega Mezzetti, non è ancora «un’alternativa competitiva rispetto a un impianto in campo aperto, ma lo diventerà, dato lo scenario di riscaldamento climatico che si prospetta anche in Italia».
Le varietà apirene (senza semi) esercitano, senza ombra di dubbio, maggiore appeal sui consumatori: con i loro chicchi grandi, dolcissimi, sono privi dei fastidiosi – soprattutto per i più piccoli – semini. E di certo questa preferenza, negli anni, ha guidato il mercato: ormai, il 90% dei nuovi impianti produce varietà senza semi, che ammontano a più della metà del raccolto nazionale e che derivano da uno scrupoloso lavoro di miglioramento delle caratteristiche del frutto.
A livello mondiale il breeding dell’uva da tavola – vale a dire l’incrocio e la selezione di varietà vegetali per ottenerne delle nuove – è in mano a tre grandi multinazionali: la californiana Sun World, l’anglo-francese Bloom Fresh e l’israeliana Grapa.
I progetti italiani
Ma anche in Italia ci sono programmi interessanti portati avanti dall’Università di Catania con la professoressa Alessandra Gentile e che sfruttano il germoplasma siciliano (vale a dire il corredo genetico di una determinata specie, costituito dall’insieme dei suoi differenti genotipi, ossia dalle sue diverse varietà) e l’istituto di viticoltura del Crea, il principale Ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari.
A livello globale, l’uva da tavola, che ha raggiunto una produzione di 28 milioni di tonnellate, al secondo posto per volumi dopo le mele su scala mondiale e con un incremento del 19,7% sul 2012, registra una crescita superata solo da quella del kiwi, che però vale meno di 4,5 milioni di tonnellate. E sono ottime le prospettive di sviluppo anche per i prossimi anni: si stima un +5,7% a livello mondiale e un +14% in Europa.
L’uva da tavola è stata scelta come prodotto simbolo della 41esima edizione di Macfrut – il salone internazionale dell’ortofrutta che si svolgerà alla fiera di Rimini dall’8 al 10 maggio prossimi – e quale tema chiave del relativo Simposio internazionale 2024 con la regione Puglia: qui si concentra il 60% della produzione tricolore di “table grapefruit”.