Lavoro
Pensioni, Ocse: si avranno più tardi e più vecchi. Bilanci a rischio
Di Giampiero Cinelli
In occidente declino demografico, aumento dell’aspettativa di vita ed efficienza sanitaria determineranno una situazione problematica nella previdenza. Lo mostra l’ultimo rapporto Ocse sulle pensioni, “Pensions at a Glance 2023 and G20 Indicators”. La percentuale di persone di età pari o superiore a 65 anni è destinata a salire dal 18% nel 2022 al 27% entro il 2050, la preoccupazione va quindi alla sostenibilità dei conti nel lungo periodo e la posizione dell’ente, nel comunicare lo studio, è quella di aumentare gli anni di lavoro, alzando l’età pensionabile. Tuttavia ciò è poco fattibile rispetto ai lavori manuali, per i quali spesso si fa fatica a trovare manodopera, e può limitare l’ingresso di nuovi addetti.
Il tasso di ritiro dal lavoro, in 23 dei 38 Paesi membri, è previsto in aumento, arrivando a una media di 66.3 per gli uomini e di 65.8 per le donne se si inizia oggi la carriera. Ma in Italia, Danimarca, Svezia, Estonia e Olanda la normale età di ritiro raggiungerà anche i 70 anni o più, se i calcoli sull’aumento dell’aspettativa e i progetti legislativi a questa connessi si concilieranno. Inoltre, come assicurarsi l’occupazione della fascia tra i 55 e i 64 anni? Nonostante questa abbia raggiunto nel secondo trimestre del 2023 un tasso di occupazione record pari al 64% (8% in più rispetto a dieci anni fa), è difficile mantenere il posto di lavoro davanti all’obsolescenza delle competenze, l’accesso limitato al lavoro e le potenziali inadeguatezze pensionistiche, osserva l’Ocse.
Per quanto riguarda l’Italia, di questo passo e con le regole previdenziali attuali, i giovani che cominciano a lavorare adesso andranno in pensione non prima dei 71 anni di età anagrafica. Se non ci saranno cambiamenti e modifiche radicali al sistema previdenziale del nostro paese, e a causa del frequente ingresso tardivo nel mondo del lavoro e dei bassi salari, il trattamento pensionistico rischia di essere troppo vicino a quello della soglia di povertà.
Nel nostro Paese, ad oggi, l’ingente spesa pensionistica, destinata a salire, non riesce ad essere coperta interamente dalle entrate derivanti dai contributi dei lavoratori, che rappresentano solo l’11% circa del Pil e di conseguenza c’è bisogno di ingenti finanziamenti da parte dalla fiscalità generale (quando non è anzi una copertura di indebitamento).
Il quadro allarma ancora di più se pensiamo che i 18-34enni sono poco più di10 milioni, il 17,5% della popolazione, mentre nel 2003 superavano i 13 milioni. Nel 2050 saranno poco più di 8 milioni, appena il 15,2% del totale. Senza un miglioramento della curva demografica, l’Ocse sostiene che interventi drastici potrebbero rivelarsi inevitabili.