Politica
Il nuovo equilibrio transatlantico
Di Luca Grieco
Si è svolto ieri, negli UTOPIA Studios, il nuovo appuntamento dei Transatlantic Dialogues, dal titolo “Finding a new transatlantic balance”, organizzato da AMERIGO in collaborazione con Task Force Italia. Un panel di spessore, che ha visto la partecipazione di Francesco Clementi, costituzionalista ed esperto di politica americana; Germano Dottori, collaboratore di Limes; Francesca Forcella – Giornalista Resp. Chapter New York di AMERIGO; Cecilia Sala, giornalista de Il Foglio e di Otto e Mezzo e Stefano Graziosi, giornalista de La Verità; Silvia Minardi, Vicepresidente di AMERIGO. Il tutto moderato da Ernesto Di Giovanni, Partner di UTOPIA e Resp. Chapter Roma di AMERIGO.
Si tratta del secondo appuntamento, quindi, dopo quello del 1° aprile incentrato sull’analisi dello scenario americano. Ieri, invece, come suggeriva il titolo, il tema è stato l’equilibrio transatlantico tra Stati Uniti, Europa e Italia. Silvia Minardi si è detta “contenta di portare il saluto a questo secondo evento, costruito e pensato sulla linea del dialogo tra Stati Uniti, Italia e Europa. Idea perfettamente in linea con lo statuto dell’associazione: favorire occasioni e strumenti di dialogo e approfondimento. Al centro di questi dialoghi, è importante approfondire il significato di balance e dei cambiamenti. Noi possiamo favorire la comprensione della complessità”.
Al Prof. Francesco Clementi è stata chiesta una overview di queste prime settimane della presidenza Biden: “Il Presidente Biden è andato al Governo con quattro crisi convergenti (pandemia, incertezza economica, cambiamento climatico e la questione razziale). Il tutto sullo sfondo dei “fattacci” del 6 gennaio, quando, a Capitol Hill, irruppero dei facinorosi. Lì la democrazia americana mostrò tutta la sua fragilità, ma anche tutta la sua forza: la capacità di sapersi piegare e resistere. Dentro queste crisi convergenti, il Presidente ha avviato una strategia di rafforzamento premendo sui primi due punti. Il punto è che l’Italia torna ad essere centrale nella dimensione dello sviluppo perché il Mediterraneo torna ad essere uno dei luoghi principali della gestione geopolitica di un sistema statunitense che vede una Russia e una Cina particolarmente aggressive in tanti campi. Oggi il Governo di Mario Draghi può essere un punto di stabilità nuova dentro quel dialogo transatlantico che non si è mai interrotto”.
Francesca Forcella, in collegamento dagli USA, ha osservato che: “I primi 100 giorni sono di solito una luna di miele, ma Biden non ha avuto questo lusso. L’interpretazione dei sondaggi – in un’America spaccata – è tuttavia parziale: il gradimento è al 53%. Nella storia più recente questi numeri non sono solidi, ma c’è chi legge in questi numeri comunque un successo. C’è da dire che non è possibile misurare questi 100 giorni con lo stesso metodo che è stato utilizzato in passato. Ci sono ancora i cartelli Trump/Pence, segnale di una parte dell’America che non riconosce come legittime queste elezioni. In questo contesto è importante che il gradimento non sia ai massimi storici, ma è comunque un risultato forte. La figura di Biden, anche in Italia, è sempre stata dipinta come un personaggio poco incisivo: questi primi 100 giorni la sua agenda è stata molto audace e i secondi 100 giorni saranno ancora più difficili. Sappiamo che l’America di questo nuovo corso tiene moltissimo alle alleanze transatlantiche e a riaffermare la sua leadership. Anche Biden può imporre una sua visione di “America first” (è stato molto criticato per la gestione delle scorte vaccinali). Tutto il mondo sta a guarda se Biden proporrà una visione di cooperazione alla luce di obiettivi condivisi o se anche in questo Biden – per tenersi buona quella parte dell’elettorato affezionata a Trump – cercherà di portare avanti gli interessi americani a discapito della condivisione”.
Germano Dottori ha specificato che: “L’agenda americana va avanti, ma tenendo presente che lo scontro interno alla società americana non è terminato, non si è esaurito. Trump non è fuori dalla scena politica americana, sta svolgendo il ruolo di capo dell’opposizione, che è una cosa abbastanza inusuale nella politica americana e questa cosa sta condizionando sia la politica interna di Biden che quella internazionale. Quella interna perché il Partito Democratico sta sponsorizzando tre provvedimenti che possono cambiare profondamente la dinamica elettorale statunitense: la riforma elettorale che consentirà il ricorso generalizzato al voto per posta senza controllo di identità e permetterà anche la “raccolta” e questa cosa avvantaggerà strutturalmente il Partito Democratico che ha una rete molto più estesa di quello Repubblicano; poi c’è il discorso della possibile levazione della dignità di Stato di Portorico e del District of Columbia, costituency democratiche. Infine c’è la storia della Corte Suprema: cambiare la composizione per alterare l’equilibrio che si è formato durante la presidenza Trump quando gli è stato permesso di nominare dei giudici e spostare a destra la Corte. Sul piano internazionale Biden ha messo nel mirino alcuni interlocutori importanti per Trump. Quello che sta cambiando fortemente è l’enfasi sui diritti umani che implica una minore tensione sul concetto di rispetto della sovranità nazionale e il capovolgimento delle alleanze in Medio Oriente: non è un mistero che Biden stia tentando di riaprire il dialogo con l’Iran. Tutto questo può avere implicazioni importanti. Per quanto riguarda la NATO, l’enfasi anti-Russa serve a ricompattare l’alleanza atlantica, ricompatta l’Europa e rende più solido il rapporto tra gli USA e l’Europa Centro-orientale che avverte maggiormente il peso della Federazione Russa”.
Per Cecilia Sala: “L’Europa ha approfittato dell’era Trump su alcuni temi. Fino a poco tempo fa l’ipotesi di un patto transatlantico sulle big-tech ci sembrava impossibile perché c’entrano poco i rapporti buoni o cattivi tra USA e Europa: c’entra una divergenza di interessi. L’UE non ha mai accettato l’ipotesi di una tassa minima globale che riguarda le grandi aziende del tech; per gli USA le big-tech sono aziende strategiche nazionali per l’UE sono aziende strategiche di qualcun altro che fanno profitti enormi e non lasciano a terra nulla. Gli USA hanno comunque, con queste, dei rapporti privilegiati e, anche se non pagano le tasse, investono lì. La corsa è settare gli standard, e chi li setta prima può farlo a proprio vantaggio”.
Stefano Graziosi ha invece osservato che: “Il caso specifico della Libia dimostra una certa convergenza di interessi tra Washington e Roma. Da una parte Draghi sa che se vuole far tornare l’Italia protagonista in Libia, rompendo la linea con il precedente Governo, ha bisogno dell’ombrello americano. L’Amministrazione Biden ha più intenzione di ritornare in Libia, vuole recuperare il territorio libico e in questo senso auspica di arginare la spartizione de facto che nell’ultimo anno è avvenuta nella stessa Libia (tra la Russia a est e la Turchia a ovest). Quindi Biden ha bisogno di un interlocutore europeo che non può essere né Macron, né la Merkel. Ci sono delle incognite all’orizzonte: la prima è che questa strategia, dal punto di vista italiano, ha senso ma è molto rischiosa perché noi siamo contemporaneamente in rotta di collisione con la Turchia e con la Russia e questo è problematico in generale; l’altro elemento è la fratellanza musulmana. Il Governo di Tripoli è storicamente vicino alla Fratellanza; l’attuale Premier è sostenitore della stessa Fratellanza, che, a sua volta, quando ha vinto Biden, lo ha salutato con favore. Quindi mi chiedo quale sarà il rapporto tra Biden ed Erdogan? Da un punto di vista geopolitico, Biden ha bisogno della Turchia”.
Un appuntamento ricco, quindi, pieno di spunti e riflessioni interessanti che hanno posto luce sulla complessità degli equilibri transatlantici che continuano a mutare nel corso dei giorni, delle settimane e dei mesi della presidenza Biden. Quale sarà il ruolo dell’Italia?
Link della diretta: https://www.facebook.com/UtopiaPublicAffairs/videos/803808147216035