Esteri
Carceri in Europa: le peggiori sono a Est, a Nord si investe il triplo
Di Ilaria Donatio
Sono 2400, secondo la Farnesina, i detenuti italiani all’estero: 2400 nostri concittadini accusati di aver violato la legge – spesso non ancora condannati in via definitiva – e per questo privati della libertà, tenuti in condizioni disumane nelle carceri di “paesi sovrani” dell’Unione. Di quasi tutte queste vicende ignoriamo le storie perché non ve n’è traccia alcuna sulla stampa mainstream.
Una traccia importante, invece, l’ha lasciata il video pubblicato lo scorso 29 gennaio e che ha mostrato le condizioni disumane in cui è tenuta Ilaria Salis, l’insegnante di scuola elementare di Monza, da un anno nelle carceri ungheresi, con l’accusa di lesioni aggravate nei confronti di alcuni manifestanti di estrema destra (lei si è dichiarata non colpevole, rinunciando al patteggiamento di 11 anni e andando a rischiarne più di 20).
Nel video pubblicato il 29 gennaio, la giovane donna è stata ripresa mentre entrava nell’aula di tribunale, a Budapest, con polsi e caviglie ammanettati. In proposito, a Bruxelles, il primo ministro ungherese Orbán ha spiegato che non c’è stato nessun accanimento contro la donna e che il trattamento riservato a Salis è lo stesso per tutti i prigionieri: «È quello che avviene nelle aule di giustizia degli Stati Uniti, dove gli imputati entrano con mani e piedi legati», ha detto.
In Europa, però, non dovrebbe accadere.
Caso apertissimo, dunque, su cui sia la premier che alcuni esponenti del governo fanno pressing per ottenere un “processo veloce ed equo”: ma che nelle carceri di Budapest ci fossero topi e cimici e che le condizioni fossero degradanti, la donna lo aveva già denunciato in una lettera scritta al suo avvocato il 2 ottobre 2023.
Secondo lo studio commissionato dal dipartimento tematico “Diritti dei cittadini e affari costituzionali” del Parlamento europeo su richiesta della commissione LIBE (Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo), mentre è possibile individuare problemi particolarmente acuti che colpiscono molti paesi dell’Unione europea – un esempio emblematico è il sovraffollamento carcerario – c’è un’ampia gamma di questioni individuate a livello dell’UE, la cui gravità varia da paese in paese.
In generale, emerge chiaramente che il concetto di “condizioni di detenzione” dovrebbe essere inteso in senso lato, comprendendo sia le condizioni materiali di detenzione ma anche altre questioni correlate
che hanno un impatto significativo sulla vita in stato di detenzione (ad esempio, il ricorso smisurato alla
custodia cautelare e la durata eccessiva di quest’ultima).
Una di queste, come sottolineato dalle Ong che lavorano nelle carceri dell’Unione, è la violenza durante la detenzione, ovviamente sottostimata. Ma, sostiene lo studio, i problemi che affliggono le carceri rendendo disumana la “vita reclusa”, sono spesso collegati tra loro.
Per esempio, sappiamo dall’Eurostat che le carceri più popolose sono proprio in Ungheria e in Polonia (entrambe registrano un tasso di detenuti ogni 100 mila abitanti pari a 191). Segue, di poco distaccata, la Slovacchia (con 185). I tassi più bassi sono invece registrati in Finlandia (51), in Slovenia (54) e nei Paesi Bassi (65). In generale, ci sono celle sovraffollate in ben 8 Paesi dell’Ue (tra queste l’Italia, al quinto posto con un tasso di sovraffollamento ufficiale del 117,2%: il nostro Paese per questo è già stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la nota Sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013).
Secondo lo studio europeo, vi è una differenza importante osservata dagli esperti, nella cultura penitenziaria tra i paesi dell’Europa Occidente e Centrale e quelli dell’Est. È il caso, ad esempio, proprio degli istituti penitenziari dell’Est Europa, più esposti ai problemi di violenza intracarceria anche per via di celle sovraffollate, del personale carente, dedicato alla custodia della popolazione reclusa, della insufficiente assistenza sanitaria e dell’esistenza di una “gerarchia” informale nei rapporti di potere tra i detenuti.
Un altro aspetto che pesa e su cui sono state osservate rilevanti variazioni, riguarda le risorse finanziarie assegnate al servizio carcerario. Recenti ricerche – rileva lo studio Ue – dimostrano che, in generale, i paesi dell’Europa mediterranea (Francia, Italia e Spagna) ma anche centrale (come la Germania) – con alte popolazioni carcerarie e dunque alle prese con grossi problemi per ora irrisolti – assegnano il doppio delle risorse (circa 100€ a detenuto al giorno) rispetto al budget speso dall’Est Europa (la maggior parte, circa 50 euro), entrambi comunque molto al di sotto dei costi sostenuti dai paesi del nord Europa come Irlanda, Paesi Bassi o Svezia (tra 180,00€ e 380,00€).
Vale la pena di notare che le norme internazionali ed europee che disciplinano aspetti cruciali delle condizioni di detenzione (ad esempio, le dimensioni delle celle, l’accesso all’assistenza sanitaria, le condizioni igieniche, il monitoraggio delle carceri, ecc.) non sono attuate efficacemente. E sebbene le questioni relative alla detenzione siano di competenza degli Stati membri (oltre al fatto che esistono molte norme sulle condizioni carcerarie stabilite dal Consiglio d’Europa e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo), sembra esistere un ampio consenso sulla necessità di un intervento dell’UE che garantisca una maggiore conformità a tali norme.
Lo studio definisce come un passo avanti la recente raccomandazione della Commissione europea “sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione”, proprio perché si tratta di una raccomandazione che rappresenta il primo strumento dell’UE – per quanto non vincolante – che stabilisce norme minime comuni nei due settori interessati. Resta tuttavia difficile misurare il suo impatto concreto e solo con il tempo si potrà valutare se tale raccomandazione avrà avuto come conseguenza un’applicazione più efficace e convergente delle norme europee.
Contemplare l’adozione di norme minime dell’Ue attraverso uno strumento legislativo presenterebbe, dunque, diversi vantaggi.
Per completezza, l’analisi è stata estesa alle misure alternative alla detenzione che, per quanto non siano di per sé connesse alle condizioni di detenzione, sono promosse come strumenti importanti per regolare il flusso carcerario. In un contesto puramente nazionale, lo studio europeo ha evidenziato l’ampia varietà di culture e pratiche giuridiche che coesistono a livello dell’Ue, per quanto riguarda le alternative alla custodia cautelare, precedente e successiva al processo.
Sono state individuate diverse buone pratiche e possibili ostacoli al loro utilizzo. Come è ovvio, al fine di ottenere risultati efficaci, le misure alternative devono essere accompagnate da politiche penali coerenti che perseguano anche, dove possibile, il reinserimento in società della persona detenuta quando finalmente esce dal carcere. Perché, quando la pena finisce, non ne inizi un’altra – se possibile ancora più dura – che la condanni a non trovare più il proprio posto nella comunità civile.