Economia
Come le elezioni americane influiranno sulla politica estera US?
Di Francesco Tedeschi
Il ruolo internazionale dell’America alla prova del voto, il cambiamento degli equilibri internazionali sullo sfondo delle nuove conflittualità nate in Ucraina e Palestina. E in questo senso qual è il ruolo sulla scena internazionale del gigante americano, preso a sua volta dalle tensioni interne. Tensioni che dopo 4 anni – e con le elezioni alle porte – sembrano proporci lo stesso schema elettorale della passata tornata. Questi alcuni temi usciti dall’evento “l’America e la leadership mondiale dopo il voto” con la giornalista e conduttrice Monica Maggioni, Alessandro Colombo, professore di Relazioni internazionali presso l’Università di Milano, e l’esperto di Medio Oriente dell’Atlantic Council Karim Mezran. L’evento svoltosi presso il Centro Studi Americani, è stato organizzato in collaborazione con l’American Chamber of Commerce, il portale d’informazione online Geopolitica.info e il think tank Atlantic Council.
Da sempre, le elezioni statunitensi sono un importante momento e non solo perché il presidente USA riveste un ruolo fondamentale e decisivo nella politica globale. Eppure più di altre volte, le elezioni del 2024 si prospettano pieni di incognite e incertezze e stavolta più che mai è difficile avanzare previsioni. Come dimostra bene il caso del New Hampshire, nonostante la vittoria alle primarie repubblicane di Donald Trump, Nikki Haley non si è ancora ritirata dalla corsa tutta interna al partito. Quindi troppo presto per tirare le somme. Tuttavia vediamo già prospettarsi una contrapposizione fortissima tra Biden e Trump, la stessa contrapposizione che nasconde all’interno anche due modi molto diversi di porsi rispetto alla scena internazionale.
Scena sempre più irrequieta e che vede la leadership americana spaccata su più fronti: dalla sfida con la Cina alla gestione del conflitto ucraino e quello mediorientale. L’opinione pubblica statunitense infatti si sta spaccando sull’impegno americano sui dossier internazionali più rilevanti, e il sostegno militare incondizionato. Nell’ultimo ventennio, infatti, il ruolo dell’establishment americano sta cercando una terza via tra l’engagement internazionale e il disengagement, soprattutto di fronte a un debito di 37 triliardi di dollari, che mina la capacità del governo americano di intervenire su tutti i tavoli internazionali. Il costo chiaramente è l’esclusione da partite di rilevanza internazionale, come dimostra bene il ruolo sempre più preponderante di Russia e Cina in Africa.
Tutti i relatori comunque sembrano essere d’accordo su una cosa, qualsiasi sia il risultato, se l’America dovesse presentarsi alle urne a conflitti ancora aperti – ipotesi molto probabile – Trump ne trarrebbe vantaggio visto che da risposte semplici a un elettorato al quale non importa molto delle questioni di politica estera. È chiaro che tutto ciò pone un problema evidente alla democrazia statunitense di suo già in palese sofferenza, lacerata da una polarizzazione estrema che danneggia la sua governabilità, esaspera la contrapposizione politica e rende ancor più fragili istituzioni già deboli e delegittimate. In questo contesto, si tratterà di uno scontro di “debolezze” quello cui ci apprestiamo ad assistere, e che espone tutta le difficoltà della democrazia statunitense e di un federalismo a sua volta lacerato da una polarizzazione che acuisce la natura conflittuale della dialettica tra poteri federale, statali e municipali.