Esteri
Medio Oriente, Ucraina, Taiwan: i destini di Usa e Mondo condizionati dai contadini dello Iowa
Di Giampiero Gramaglia
Poche centinaia di migliaia di contadini dello Iowa, che vanno a votare nonostante bufere di neve, vento gelido, temperature polari, tengono in ostaggio i destini degli Usa e anche del Mondo, in un anno in cui quasi la metà della popolazione mondiale, oltre tre miliardi di persone, sono chiamate alle urne.
I risultati dei caucuses dello Iowa, primo atto delle primarie verso Usa 2020, danno un’impronta alla corsa alla nomination repubblicana. La vittoria di Donald Trump e la sensazione che il magnate ex presidente viaggi verso la nomination e possa tornare alla Casa Bianca, complice la debolezza e la fragilità di Joe Biden, incide sugli sviluppi delle guerre in atto nel Mondo: in Medio Oriente, dove i rischi di allargamento del conflitto si fanno giorno dopo giorno maggiori, e in Ucraina, dove c’è stallo; e condiziona i rapporti tra Usa e Cina dopo le elezioni a Taiwan.
Per motivi diversi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin possono credere che sia nel loro interesse vedere se davvero il loro ‘amico’ Trump ridiventa presidente, schivando i processi che lo attendono.
Medio Oriente: Mar Rosso in fiamme, conflitto si sfaccetta, mosaico di azioni
La guerra in Medio Oriente ha ormai tante sfaccettature che è difficile tenere dietro agli sviluppi ed è forte il timore che i vari focolai, a un certo punto, diventino un unico grande rogo. Stati Uniti e Gran Bretagna lanciano a ripetizione attacchi su postazioni missilistiche, stazioni radar e installazioni portuali degli Huthi, i ribelli sciiti dello Yemen, una milizia sostenuta dall’Iran che minaccia il traffico commerciale nel Mar Rosso.
Almeno tre le azioni condotte nell’ultima settimana, nonostante la Casa Bianca dica che non vuole un allargamento del conflitto – e nonostante gli inviti dell’Onu ad astenersi da attacchi del genere -. Gli Huthi minimizzano i danni subiti – ma ci sono stati morti e feriti – e continuano le loro azioni ‘piratesche’, prendendo di mira anche un cargo che batte bandiera Usa: “La criminale aggressione contro il popolo iracheno, di cui Stati Uniti e Gran Bretagna hanno piena responsabilità – dicono – , non resterà senza risposta e impunita”.
Washington reinserisce gli Huthi nella lista delle organizzazioni terroristiche. Designati come tali durante la presidenza di Trump, gli Huthi erano poi stati rimossi dalla lista da Biden nel 2021, per consentire l’ingresso nello Yemen di aiuti umanitari. L’Ue resta, per ora, alla finestra di fronte all’aggravarsi della crisi nel Mar Rosso: si lavora a una missione congiunta e si teme, soprattutto, l’innesco di una nuova spirale inflazionistica, considerando la quantità di merci – petrolio, ma non solo – interessata. Nei primi dieci giorni del 2024, c’è stato un calo del 55% nel transito dei cargo dal Canale di Suez, rispetto allo stesso periodo del 2023.
L’Iran, dal canto suo, lancia attacchi in Pakistan contro siti che sarebbero basi del gruppo terrorista Jaish al-Adl, accusato di essere responsabile della strage del 3 gennaio a Kerman, in coincidenza con una commemorazione del comandante dei Pasdaran Qasem Soleimani ucciso da un raid Usa, nel 2020, a Baghdad. Il Pakistan condanna l’azione – “una violazione non provocata” del proprio spazio aereo -, che ha ucciso due bambini e ferito tre persone.
La Turchia bombarda postazioni curde in Siria e in Iraq, dopo che un commando curdo ha attaccato una base turca nella regione curda semi-autonoma nel Nord dell’Iraq. E gli Usa colpiscono milizie filo-iraniane di stanza in Iraq e in Siria, responsabili di scaramucce contro loro distaccamenti, la cui presenza non è chiaramente motivata. Può anche rientrare, in questo mosaico, un attacco degli Usa con droni in Somalia, che elimina il ‘cervello’ di un attacco contro la base di Manda Bay in Kenya che uccise tre americani nel 2020. Su Moalim Ayman, c’era una taglia di 10 milioni di dollari: l’uomo viene raggiunto in un ‘santuario’ di al-Shabaab, a Jilib.
Tutto ciò accade mentre la diplomazia internazionale, almeno apparentemente, si affanna per evitare che la guerra tra Israele e Hamas si allarghi, al di là delle aree già toccate: oltre la Striscia di Gaza, cioè, la CisGiordania e il confine tra Libano e Israele, dove operano gli Hezbollah. Biden dice che “non esiterà, se necessario, a prendere ulteriori misure per proteggere la nostra gente e la libertà degli scambi”. La Russia, invece, chiede una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: “Gli attacchi anglo-americani sono una minaccia diretta alla sicurezza globale”
Israele-Hamas: vittime e ostaggi, ‘effetto consuetudine’
Le azioni intorno alla guerra tra Israele e Hamas fanno più notizia di quelle dentro il conflitto, che supera i cento giorni e già genera nei media e nel pubblico l’ ‘effetto consuetudine’: tutte le mattine, la solita solfa, bombe, morti, video agghiaccianti. Il Qatar dice di avere negoziato un’intesa per fare giungere medicine agli ostaggi e aiuti umanitari alla popolazione palestinese: la prima del genere dopo quella che, a fine novembre, aveva consentito, in una settimana di tregua, lo scambio di oltre cento ostaggi con centinaia di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.
In questo contesto, Hamas non rinuncia a compiere azioni terroristiche letali in territorio israeliano: a Ranana, nel Nord di Israele, un’auto falcia i passanti, alcuni dei quali vengono poi accoltellati: muore una donna di 70 anni, i feriti sono 17 feriti. Sangue pure in Cisgiordania, vicino a Hebron, dove tre palestinesi vengono uccisi in scontri con soldati israeliani; ed un attacco con droni uccide tre persone su un’auto nel campo profughi di Balata, a Nablus – fra i morti, Abdallah Abu Shalal ritenuto capo di una cellula che si apprestava a compiere un attentato in Israele e che aveva già condotto diverse operazioni letali, anche in un quartiere di Gerusalemme -. Sono decine gli studenti arrestati a Jenin, per una manifestazione anti-israeliana.
La Casa Bianca sostiene che “è il momento giusto” perché Israele rallenti e riduca le operazioni nella Striscia di Gaza, dove le vittime superano le 24 mila. Per Israele, invece, un cessate-il-fuoco sarebbe una vittoria per Hamas, che aprì le ostilità il 7 ottobre con attacchi terroristici che fecero 1200 vittime e condussero alla cattura di circa 250 ostaggi (una metà dei quali tuttora prigionieri, se non deceduti). In proposito, l’Ue ha ora aggiunto alla lista dei terroristi il leader politico di Hamas nella Striscia, Yahya Sinwar, indicato da Israele come uno dei principali obiettivi da neutralizzare per annientare Hamas, insieme a Mohammed Deif, il capo delle brigate al Qassam.
Di fatto, nelle ultime settimane l’intensità delle operazioni s’è ridotta, specie nel Nord della Striscia, quella oggetto della fase iniziale dell’offensiva israeliana, dove i bombardamenti dall’aria, dal mare e da terra hanno ridotto in rovine interi quartieri. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu tiene, però, fermo che “nessuno ci fermerà” dal distruggere Hamas e non cessa di affermare che “bisogna aumentare la pressione per smantellare il gruppo nella enclave.
Dentro il gabinetto di guerra israeliano, è in atto uno scontro sulla strategia più utile per eradicare Hamas e salvare gli ostaggi. Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, che pure hanno screzi fra di loro, insistono sull’uso della forza militare, mentre Benny Gantz e Gadi Eisenkot, due ex capi di Stato Maggiore, chiedono che siano considerati strumenti alternativi.
Sul piano giudiziario internazionale, Israele deve difendersi dall’accusa di genocidio, introdotta, presso la Corte penale internazionale dell’Aia, dal SudAfrica, secondo cui la leadership israeliana “ha l’intento di distruggere i palestinesi nella Striscia di Gaza”.
Ucraina: il fronte è fermo, come gli aiuti; Zelensky e Putin, confronto a distanza
La Russia continua a scaraventare missili e droni sull’Ucraina, che risponde con sporadici attacchi su obiettivi nemici, anche in territorio russo. Questa, però, è la settimana delle chiacchiere a Davos, dove il presidente ucraino Volodymyr Zelensky interviene al World Economici Forum: dice che “Putin è un predatore”, che non si accontenterà “di un confronto congelato”, che l’Ucraina si batte anche per l’Europa; e propone una conferenza di pace – un po’ fantomatica – da tenersi in Svizzera. Da Mosca, Putin replica che gli ucraini sono “degli imbecilli”: hanno rinunciato ai negoziati, con i quali “sarebbe tutto finito tempo fa”.
Parole di solidarietà a parte, gli appelli di Zelensky non trovano immediata eco. L’ultimo pacchetto di aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina è bloccato in Congresso dai repubblicani, che danno priorità a misure contro l’immigrazione dal Messico: Biden negozia su 100 miliardi di dollari – ci sono fondi per l’Ucraina, Israele, Taiwan -.
L’Ue, i cui leader continuano a fare pellegrinaggio a Kiev, discute il nuovo bilancio pluriennale, che prevede aiuti all’Ucraina per 50 miliardi di euro, ma che è finora bloccato dal veto dell’Ungheria: se ne parla in settimana al Parlamento di Strasburgo, ma una decisione è attesa dal Vertice europeo del 1° febbraio. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non ha dubbi: con o senza l’avallo dell’Ungheria, i 50 miliardi per l’Ucraina saranno stanziati.
Intanto, la Gran Bretagna, che fa da sola, ha già garantito 2,9 miliardi a Kiev per il 2024. Contemporaneamente, aumentano le forniture militari alla Russia da Iran e Corea del Nord.
Taiwan: elezioni aggravano tensioni Usa – Cina
Mentre le guerre in Medio Oriente e in Ucraina vanno avanti, il voto di sabato 13 a Taiwan alimenta le tensioni nel Mare cinese: Lai Ching-te, vice-presidente uscente, un fautore dell’indipendenza dell’isola, che ha però annacquato le sue posizioni in campagna elettorale, diventa presidente, anche se il suo Partito democratico progressista non ottiene la maggioranza in Parlamento.
Il risultato è uno smacco per la Cina, che tifava contro Lai e che presentava il voto come una scelta tra la guerra e la pace. Pechino potrebbe esserne indotta ad aumentare le pressioni su Taipei, magari intensificando le manovre intorno all’isola, a rischio di aggravare le tensioni con gli Usa, il cui presidente Biden si affretta, però, a ribadire che Washington non sostiene l’indipendenza di Taiwan e si attiene alla linea di una sola Cina.
Dal canto suo, Pechino manda messaggi di dialogo all’Europa: al premier belga Alexander De Croo in visita, il presidente cinese Xi Jinping dice di volere costruire “punti” con l’Europa e intensificare la collaborazione, nonostante le differenze politiche.