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Vini da collezione, un settore in ascesa e sempre più digitale

17
Gennaio 2024
Di Giampiero Cinelli

Su una cosa si hanno pochi dubbi: nonostante negli ultimi tempi sia cresciuta una certa ostilità nei confronti del commercio di alcolici, la passione di tanta gente nei confronti di queste bevande e delle situazioni di vita a cui si accompagnano non affievolisce, anzi si nota una reazione uguale e contraria. Facile trovare difensori del vino. Non solo per l’importanza economica che riveste, soprattutto in Italia, ma appunto per il valore ampio che si attribuisce a questo prodotto. Un prodotto con un sempre maggiore mercato che adesso si sta consolidando anche sul versante del collezionismo. I vini da collezione sono usuali già da tre-quattro decenni, ma oggi se ne parla molto e il settore sembra vivere un rilancio, anche grazie al web e ad alcune tecnologie prestate al mondo degli intenditori, con cifre di scambio roboanti.

I vantaggi

Per muoversi nel mondo dei vini da collezione esistono piattaforme mediatrici, che prendono una percentuale sulle compravendite. In ogni caso, il commercio di vini da collezione, con i giusti accorgimenti, riesce ad essere esente da Iva e accise se fatto gestire da una società e conservando le bottiglie in magazzini fiscali. In Italia poi i beni da collezione sono senza tasse, anche se la riforma fiscale che ora si sta dipanando potrebbe determinare dei cambiamenti sulle plusvalenze. Diviene quindi un investimento conveniente, con basse commissioni da pagare, anche se generalmente più macchinoso rispetto allo scambio di asset tradizionali. Dalla sua ha che il valore di un vino pregiato o raro cresce nel tempo e come asset è controllabile direttamente dall’investitore. I rendimenti possono arrivare anche al 10% annuo, in un mercato che mostra un trend in crescita da parecchio tempo. Fattore che spinge i soggetti idonei ad investire in vini da collezione è anche il fascino di ciò che si possiede, la cultura e la storia legate alla bottiglia.

Il commercio di vini e le nuove tecnologie digitali

Eppure, a qualcuno sembrerà strano, adesso si tende spesso a non farsi spedire la bottiglia a casa. Sono assai numerosi i collezionisti che non possiedono concretamente il vino ma ne sono i proprietari secondo la piattaforma digitale nella quale operano comprando e vendendo, o semplicemente dilettandosi ad acquistare oggetti di grande valore. Il fenomeno ha a che fare con la blockchain e il mondo crypto. In sostanza, la certificazione di proprietà del bene viene rilasciata in modo virtuale, attraverso un NFT (acronimo che in italiano si legge come “Token non fungibile”), ovvero una sorta di gettone non riproducibile che attesta la proprietà del vino. La creazione e la sussistenza dei certificati virtuali, avviene grazie alla blockchain, un registro contenente dati e informazioni in maniera aperta, condivisa e distribuita, senza la necessità di un’entità centrale di controllo e verifica. La sicurezza dei dati nella blockchain è garantita dal sistema della crittografia, permettendo la non alterabilità delle informazioni che possono essere visionate solo da chi è autorizzato.

Secondo diversi addetti ai lavori una certificazione in formato NFT è un passo avanti rispetto ad una in PDF, in quanto risulta tracciabile, dimostrando la sua autenticità e non essendo falsificabile.

Alla luce di tali possibilità, sta prendendo piede un approccio al commercio di vini da collezione tutto digitale, innovativo e divertente. Si pensi che alcune società del tech, consentono agli utenti di visitare una cantina virtuale tramite un visore, A quel punto il collezionista, una volta entrato nella cantina virtuale piena di vini pregiati, può fare acquisti in tempo reale. Le aziende impegnate nel commercio di vini sanno che gli sviluppi forniti dai nuovi strumenti potrebbero favorire delle prassi nel futuro e stanno pianificando ambiziosi investimenti in innovazione.

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