Economia
Patto di Stabilità, l’accordo più vicino non manca di insidie
Di Giampiero Cinelli
La Notte dell’Immacolata avvicina i Paesi dell’Unione Europea allo schema di accordo definitivo sulla riforma del Patto di Stabilità. Secondo gli addetti ai lavori la fumata bianca è possibile entro fine anno, vista l’urgenza che un contesto ora animato da conflitti bellici impone.
I due pilastri del modello
Per adesso, il punto di incontro è reso più probabile dalla conciliazione di due concetti fondamentali: il primo, strategico per i Paesi più indebitati, ovvero piani di aggiustamento del rapporto Debito/Pil concordati e più comodi, della durata di quattro anni prorogabili a sette per chi ha un debito superiore al 90% del Pil; il secondo aspetto, quello caro ai Paesi rigoristi come Germania e Olanda, è la procedura di salvaguardia che scatta per deficit eccessivo.
Ricordiamo che deficit e debito non sono la stessa cosa. Per deficit si intende il saldo di bilancio, mentre il debito è la totalità delle esposizioni di una nazione nei confronti dei suoi creditori domestici ed esteri. Le due cose vengono trattate assieme perché quasi sempre, quando uno Stato decide di fare più deficit, si indebita ulteriormente sul mercato.
I parametri
Dunque i piani di rientro non saranno troppo frettolosi, ma saranno dirimenti i parametri su cui basarli. Il rientro infatti che un governo dovrà programmare, a giudicare dalla bozza circolata, potrebbe essere di un punto di Pil (15-20 miliardi ogni anno) per chi ha debito sopra il 90% del Pil, o di 0,5 punti per chi ha un debito tra il 60 e il 90%. Inoltre, i Paesi con debito sopra il 90% rischiano, in casi di particolari crisi, di vedersi indicato un deficit annuo dell’1,5% anziché del canonico 3%. Nel testo si spiega che il più forte limite «consentirà un margine di manovra di bilancio, considerando in particolare la necessità di investimenti pubblici e riforme».
La sfida sui bilanci
Contemplato poi l’obbligo di ridurre ogni anno il saldo di bilancio strutturale primario (cioè al netto degli interessi) dello 0,3 o 0,4% durante i percorsi di aggiustamento di quattro anni e dello 0,2-0,25% durante i percorsi di aggiustamento di sette anni.
Il deficit eccessivo
La procedura per deficit eccessivo scatterebbe invece quando si supera il 3% di deficit primario (ossia quando la differenza tra entrate e uscite è passiva del 3% prima del pagamento degli interessi). Anche in questo caso la riduzione sarebbe dello 0,5% annuo. Nella trattativa ci si è battuti affinché in questa fattispecie il computo rimanesse al netto degli interessi. Francia e Italia hanno chiesto che la procedura di taglio del deficit abbia entità minore (almeno per il periodo 2025-2027) in ragione del naturale aumento degli interessi sul debito che si sta registrando.
Una visione più ampia
Sulla base dei dati 2023 si andrebbero a trovare sotto procedura per deficit eccessivo Belgio, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Malta, Slovenia e Slovacchia. Ecco perché si vuole più flessibilità. Ma al di là delle situazioni contingenti, non è rara tra gli esperti la considerazione che dopo il Covid i debiti pubblici siano per la maggior parte sopra il 100%, dunque qualsiasi accordo rifletterebbe una visione poco pragmatica. Qualsiasi sia la modalità degli aggiustamenti, c’è chi ha invocato di cambiare approccio rispetto alla gestione dei disavanzi nell’area euro, rafforzando meccanismi sovranazionali in grado di garantirli, senza bloccare la crescita.