Deve essere vissuto all’estero almeno negli ultimi trent’anni chi – dentro e fuori il perimetro della magistratura associata – ieri si è affrettato a prendere le distanze dalle affermazioni del ministro Guido Crosetto, che, in un’intervista, è tornato a paventare una possibile azione della magistratura con effetti politicamente rilevanti.
Solo infatti qualcuno vissuto molto lontano dall’Italia, e naturalmente senza alcun contatto con i media, può improvvisamente fare la faccia stupita e domandarsi cosa intendesse il Ministro della Difesa.
Anche i bambini conoscono due realtà: l’uso politico della giustizia, con inchieste scattate – a più riprese e in cicli diversi – nei confronti di politici a vario titolo “sgraditi” alla sinistra; e per altro verso, il metodo delle intercettazioni a strascico, che da lustri consente, anche in mancanza di una notizia di reato, di colpire qualcuno sul piano personale o familiare.
Tutti sappiamo cosa sia successo in Italia da decenni: governi caduti o resi fragili a seguito di inchieste (e la cosa non ha riguardato solo governi di centrodestra), e una costante pretesa di contestare a Parlamento e Governo il diritto-dovere di scrivere norme che non fossero preventivamente ritenute “accettabili” dalla parte maggioritaria della magistratura.
La mia opinione è che il governo debba rispondere non con le polemiche ma con i fatti. Dopo una prima e parziale prima tranche della riforma della giustizia, si attende da mesi con ansia la seconda (inclusa la separazione delle carriere). Che si aspetta a proporre un disegno di legge e a sottoporlo all’esame delle Camere?