Giorgia Meloni visita in anteprima la mostra di Tolkien allestita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Una notizia che ha scatenato l’opinione pubblica dalla scelta del museo, ritenuta dai più moderati “bizzarra”, all’outfit del Premier, un total white che per i più affezionati ha riportato alla mente il personaggio di Galadriel (elfo del “Signore degli Anelli”).
Anche Massimo Gramellini ha deciso di dedicare “Il Caffè” del 16 novembre a questo evento, toccando con parole accorte le sfaccettature scaturenti i bisbigli di cui sopra: “I capolavori dell’anima uniscono ciò che la partigianeria dei cervelli divide. Il fatto che, per motivi misteriosi o forse fin troppo evidenti, la sinistra pseudo-colta abbia spesso disdegnato la saga spirituale di Tolkien non autorizza il governo ad appropriarsene, ma neanche l’opposizione a considerarla con sospetto o con sufficienza, né a vivere come un sopruso di regime la decisione di dedicare una mostra al suo creatore”.
Il curatore Orazio Cilli, tolkeniano convinto, ha tenuto a commentare così: «Volevamo raccontare l’uomo, il professore, l’autore, non una mostra che raccontasse le interpretazioni di Tolkien», a conferma dell’ingombrante chiacchiericcio.
Che si tratti di politicizzazione o appropriazione indebita non è da sottovalutare il contesto storico di una generazione allevata da Tolkien e dalla lotta tra bene e male, narrativa che qualsiasi persona cresciuta nella convinzione di stare nel giusto avrebbe potuto e può fare propria. E chi paga il biglietto per visitare la mostra lo fa perché Tolkien è di tutti.
Chi per il senso di evasione concesso da un autore smarrito in un meraviglioso spazio fantastico; chi per la seduzione delle parole evocatrici sottratte a mito e parabole e abilmente rimaneggiate; chi per il fascino di un mondo lontano dalla folle umanità soggiogata dal progresso, lo stesso mondo così oggettivo da riflettere le attuali lotte intestine.
Poco importa la motivazione se poi si arriva alla lezione estremamente moderna del “Signore degli anelli”: seguire la tenacia di due eroi tutt’altro che perfetti, pur essendo concretamente realistici nel proprio rapporto, che gettano un tesoro piuttosto che appropriarsene. Nonostante l’avidità, l’ego, il potere e la brama siano l’unico vero male costante al centro dell’occhio. Malia in cui cade Smaug, Thorin scudo di quercia, Boromir, Gollum e lo stesso Frodo. Una parte oscura che tutto prende e nulla lascia dietro di sé, con l’obiettivo di distruggere relazioni, identità e popoli.
Una contrapposizione che di primo acchito potrebbe sembrare ben distinta, in realtà bisognerebbe trarre insegnamento dalla condanna a cui venne confinata Moria a causa della cupidigia dei Nani. E una di queste labili sfumature viene offerta come spunto di riflessione da Gandalf: “Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze”.
Che il mondo sia quello reale o fantastico poco importa, ci saranno sempre delle sfide da affrontare, che siano città miracolosamente in equilibrio sull’acqua o draghi addormentati su tesori di sacri cavalieri. Ma senza perdere quella speranza che tolkenianamente si staglia a est all’alba del quinto giorno.