Politica
Smentiti i gufi dello spread, ma la crescita rischia di restare debole
Di Daniele Capezzone
Ci sono una buona e una cattiva notizia con cui fare i conti.
Quella positiva è l’ormai patetica sorte dei gufi dello spread, di quanti – avevano cominciato a settembre – avevano scommesso sul logoramento del governo seguendo lo schema che aveva funzionato nel 2011 e che poi, al bisogno, era stato rivalorizzato mediaticamente negli anni successivi.
E invece il format non si è rivelato efficace stavolta: lo spread è sotto controllo, le aste dei titoli stanno andando molto bene, il giudizio di Standard & Poor’s non ha offerto sponde a chi voleva indebolire l’esecutivo Meloni (e probabilmente il prossimo report di Moody’s si muoverà sul medesimo binario).
La cosa è particolarmente significativa se si considera che, tra il 2020 e il 2022, sotto i governi che avevano preceduto l’esecutivo Meloni, il debito italiano era salito di 350 miliardi, facendo schizzare in alto il conto annuale degli interessi. Ma i gufi – allora – dormivano o erano a riposo. Tutti muti.
Dall’altro lato, però, il governo attuale non deve dormire sugli allori. La crescita è debole e promette di rimanere stentata, rattrappita, in una dimensione da “zero virgola”. Il che renderà i margini di movimento, nelle prossime manovre, ancora più risicati di quanto sia accaduto stavolta.
Torniamo a ripeterlo. Occorre uscire dalla trappola della “gestione della stagnazione”. È necessario, per le prossime tre manovre, che il percorso della riduzione fiscale sia accelerato ed esteso (quest’anno si è agito solo sui contribuenti a basso reddito). Vanno coinvolte nel beneficio altre fasce di popolazione e pure le imprese: e sono le due condizioni per far crescere consumi e investimenti.
Per farlo sarà necessario agire sul debito (qualche dismissione) e sulla spesa pubblica (con una spending review seria). Vale la pena di tentare. Meno tasse, meno spesa, meno debito.