Pensare di continuare a governare senza scossoni era impossibile.
Governare significa 1) decidere e qualsiasi decisione porta critiche; 2) parlare e parlando ci si espone a uno degli sport preferiti dell’opinione pubblica: usare contro di te tutto quello che dirai; 3) accendere l’attenzione su chi ti circonda, dai collaboratori ai familiari, ma costoro non sono immuni dagli inciampi e ogni inciampo verrà usato contro di te.
Basti pensare ai recenti casi riguardanti le improvvide affermazioni dell’ex compagno o lo “scherzo telefonico” subito da 2 comici russi che, inevitabilmente, ha portato alle dimissioni del Consigliere Diplomatico Francesco Talò.
Ciò che però rischia davvero di mettere in difficoltà il solido consenso della Presidente del Consiglio è il progetto di Riforma costituzionale.
Breve recap dei precedenti per chi non ne ha memoria.
Nel 2001 si svolge il 1° referendum costituzionale della storia repubblicana (7 ottobre): si vota la Riforma del Titolo V voluta dal Gov. Amato (centrosinistra) ma durante il 2° Gov. Berlusconi (centrodestra). Campagna elettorale silenziosa, il Governo in carica non si impegna promettendo una futura riforma di stampo federalista, vincono i “sì”.
Nel 2006 2° episodio a parti invertite (25-26 giugno): si vota la Riforma voluta dal Gov. Berlusconi (la famosa “devolution”) ma è in carica il Gov. Prodi. L’onda va verso il centrosinistra, il Governo si mobilita contro la riforma e vincono i “no”.
Nel 2016 il 3° e più famoso episodio (4 dicembre): il referendum sulla Riforma promossa dal Gov. Renzi. Quella che sembrava una Legge potenzialmente votata da un’ampia maggioranza diventa, dopo la rottura del Patto del Nazareno, l’occasione per una contesa “uno contro tutti” (inclusi i suoi compagni del PD). In quel caso vinsero i “tutti” e Renzi perse il posto da Presidente del Consiglio.
Nel 2020 il 4° e ultimo episodio (20-21 settembre): il referendum per la riduzione del numero dei Parlamentari voluto fortemente dal M5S con la complicità del PD, riuniti nella coalizione del Governo Conte II. Risultato scontato, poca suspense, vincono i “sì”.
Ora, finito l’excursus storico, quali sono le lezioni che ne possiamo trarre:
1) il centrodestra fa fatica a far prevalere i suoi progetti di sistema e soffre di una carenza di “legittimità” nel farlo. Meloni fa bene a provarci, ma deve tenerne conto;
2) l’elettorato tende a mobilitarsi per ridurre il perimetro d’influenza della politica e non è favorevole a cambiamenti radicali dell’assetto istituzionale;
3) l’establishment e l’opinione pubblica cavalcano più i rischi che le opportunità connesse ad una Riforma costituzionale, puntando a stimolare il ben radicato istinto di conservazione dell’elettorato;
4) i Referendum non devono essere troppo politicizzati perché le grida dei “no” saranno sempre più forti delle argomentazioni dei “sì”.
Consiglio non richiesto alla Presidente: vada avanti, ma tenga conto delle lezioni del passato recente e non leghi il suo destino politico solo al progetto di Riforma costituzionale.