Esteri
Guerra Israele–Hamas: nuova fase, più vittime, rischio contagio
Di Giampiero Gramaglia
La guerra tra Israele e Hamas è entrata in una seconda fase, ancor più letale della prima. E il peggio, forse, deve ancora venire, mentre il Mondo assiste, con un mix di indignazione, rabbia ed angoscia, a quanto avviene ed è avvenuto in quella fetta inquieta del Medio Oriente. Il rischio di allargamento del conflitto è alto più che mai.
Da sabato 28, le operazioni di terra nella Striscia di Gaza si sono intensificate: i carri israeliani sono penetrati alla periferia di Gaza City lungo almeno tre direttrici, scortati da continui bombardamenti dal cielo e dal mare. Ci sono stati scontri, con perdite da entrambe le parti. I miliziani di Hamas, dal canto loro, non cessano il lancio di razzi verso Israele, anche su Tel Aviv.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu conferma l’obiettivo della “distruzione” di Hamas, dopo gli attacchi terroristici del 7 ottobre in territorio israeliano che hanno fatto circa 1400 vittime, nella stragrande maggioranza civili, bambini, donne, uomini – 1500 i miliziani palestinesi che sarebbero stati ‘neutralizzati’ quel giorno -.
Nella Striscia, il bilancio delle vittime era, la sera di lunedì 30, di circa 8000, secondo dati forniti dal Ministero della Sanità locale. All’Onu, il Consiglio di Sicurezza, paralizzato da veti incrociati, discute una risoluzione proposta dagli Emirati arabi per una “pausa umanitaria” nei combattimenti.
La scorsa settimana, il Vertice europeo, riunitosi a Bruxelles, aveva chiesto “pause umanitarie” e promosso il progetto di una conferenza di pace. Ma Israele ha già chiarito l’intenzione di continuare le azioni sul terreno nei prossimi giorni, senza escludere una vera e propria invasione.
L’intensificarsi del conflitto tra Israele e Hamas è parallelo alla progressiva riduzione delle notizie sulla guerra in Ucraina, che, invece, continua con combattimenti sul terreno e, soprattutto, bombardamenti con raid e missili. Ma la linea del fronte quasi non si muove.
In Ucraina, l’azione diplomatica resta sottotraccia. Più visibile, invece, quella in Medio Oriente, talora con mosse intrecciate fra i due confini. A Mosca, vanno in visita una delegazione di Hamas ed esponenti del governo iraniano, il loro maggiore sponsor; da Ankara, il presidente turco Racep Tayyip Erdogan appoggia con enfasi la causa palestinese: il Mondo islamico è in fermento; l’Occidente in apprensione.
Netanyahu e Israele chiedono, e si aspettano, sostegno totale. Il premier dice: «È tempo di guerra, non cesseremo il fuoco, gli ostaggi vanno rilasciati senza condizioni… Il futuro della nostra civiltà è in gioco». Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant dichiara che la prima fase del conflitto è chiusa e che l’esercito continuerà l’offensiva con incursioni nella Striscia “fino a nuovo ordine”.
Guerra Israele-Hamas: i combattimenti, le vittime, gli ostaggi, l’emergenza umanitaria
L’esercito israeliano afferma di potere distruggere Hamas e liberare gli ostaggi – sono oltre 200, nelle mani dell’organizzazione palestinese -, ma le famiglie dei prigionieri sono preoccupate che l’intensificarsi delle operazioni ne comprometta la vita.
Dopo l’inizio della seconda fase, Hamas aveva affermato che una cinquantina di essi erano già stati uccisi nei bombardamenti: un’informazione non ulteriormente confermata, mentre Qatar ed Egitto continuano a negoziare per la liberazione – alle trattative, partecipa il Mossad, il servizio segreto israeliano -. Uno dei negoziatori del Qatar dice alla Cnn che le trattative vanno avanti, ma sono rese più difficili dagli sviluppi della guerra. La Nbc specifica che i negoziati sono in stallo da prima che Israele intensificasse l’offensiva, perché Hamas, in cambio di carburante, è disposta a liberare alcuni prigionieri, ma non tutti.
Solo quattro ostaggi sono stati finora restituiti alle loro famiglie, quattro donne. Dal canto suo, l’esercito israeliano afferma di avere liberato una soldatessa sequestrata.
In un video di Hamas, che le tv israeliane non diramano per non fare da cassa di risonanza – dicono – alla guerra psicologica, tre prigioniere accusano Netanyahu: “Paghiamo il tuo fallimento”, dicono, cioè l’impreparazione di fronte all’attacco dei terroristi; “Ti sei impegnato a liberarci tutti; invece noi cittadini che paghiamo le tasse siamo nelle mani dei rapitori in condizioni impossibili”. Difficile prendere per spontanea una denuncia sotto costrizione, ma i familiari dei sequestrati protestano davanti al Ministero della Difesa israeliano.
Secondo il New York Times, che conduce una propria inchiesta, i responsabili israeliani avevano completamente sottovalutato la minaccia palestinese e anche la portata dell’attacco del 7 ottobre, come effetto “di una cascata di errori” fatti negli ultimi anni. Ciò ha profondamente scosso il senso di sicurezza degli israeliani.
Un’invasione potrebbe condurre a combattimenti corpo a corpo nel dedalo di tunnel sotto Gaza dove si pensa che gli ostaggi siano tenuti nascosti e dove i miliziani di Hamas trovano riparo.
Non c’è più speranza, invece, per Shani Louk, la ragazza di 22 anni con cittadinanza tedesca rapita dai miliziani di Hamas mentre partecipava ad un rave nel deserto del Negev: la si sperava ostaggio, ma il presidente israeliano Isaac Herzog, in una intervista alla Bild, ha rivelato che è ormai stata collocata fra le vittime: “è stata decapitata”, il ritrovamento della testa ne ha permesso l’identificazione.
Per Netanyahu, già criticato in patria proprio per non avere prevenuto il peggior attacco terroristico nella storia di Israele, è un dilemma politico pesante. Ma il salto d’intensità nell’offensiva di Israele a Gaza ha pure incrementato le proteste globali, nel Mondo arabo e islamico e anche in Occidente. In Russia, nel Daghestan, scoppia un blitz anti-semita, di cui i russi accusano l’Ucraina: gli Usa lo paragonano a un ’pogrom’, cioè una di quelle sommosse popolari contro minoranze religiose, spesso gli ebrei, avvenute un po’ ovunque nel corso della storia, specie in Russia tra Ottocento e Novecento.
L’esercito israeliano ha di nuovo invitato i civili a spostarsi nella Striscia da nord a sud. Al culmine dell’offensiva, Internet è stato messo fuori uso a Gaza, rendendo le comunicazioni, già precarie, impossibili. L’erogazione dell’acqua è ripresa, ma gli aiuti umanitari entrano con il contagocce, rispetto alle esigenze, dal valico di Rafah con l’Egitto.
Nella Striscia, dove vivono 2.300.000 persone, oltre 600 mila delle quali rimaste senza abitazione, vi sono migliaia di palestinesi con doppia nazionalità, statunitense o europea, molti dei quali sperano di potere lasciare il territorio. Pesante, finora, pure il bilancio delle vittime fra i giornalisti, specie sul fronte nord di Israele al confine con il Libano.
Scaramucce e incidenti fanno morti e feriti a decine anche in Cisgiordania, dove la tensione è altissima e la posizione dell’Autorità nazionale palestinese precaria. Ogni giorno, ci sono vittime: lunedì, quattro miliziani palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano a Jenin.