Esteri

Guerra Israele – Hamas, continua a crescere il numero delle vittime: oltre 2mila i bambini palestinesi uccisi

25
Ottobre 2023
Di Giampiero Gramaglia

Bombe, esplosioni, incendi, crolli: dal 7 ottobre, le notti di Gaza si susseguono letali e terrificanti. Ma quella tra lunedì e martedì è stata la più cruenta: centinaia di incursioni e centinaia di vittime, testimoniano fonti palestinesi, che parlano di 50 morti in una sola ora di attacchi israeliani e oltre 500 nell’intera giornata. L’attesa dell’operazione di terra si prolunga: potrebbe scattare da un istante all’altro, ma pare al momento sospesa, per “ragioni tattiche e strategiche”, spiegano fonti militari israeliane. L’obiettivo resta “spazzare via” – il linguaggio è israeliano – Hamas, equiparata all’Isis.

L’azione, quando e se scatterà, vedrà l’impiego di carri, aerei e unità navali. Gli Stati Uniti stanno rafforzando il dispositivo navale nel Mediterraneo orientale, dove hanno già due portaerei – un dato di per sé eccezionale -, pronti a intercettare eventuali minacce a Israele, come già avvenuto giorni fa con missili lanciati dallo Yemen. Dei razzi che continuano a essere lanciati dal territorio palestinese si occupa, invece, la contraerea israeliana.

Ostaggi vengono liberati a due a due: dopo madre e figlia israelo-americane sabato sera, due donne anziane tra lunedì e martedì, quattro in tutto, ma ne restano oltre 200 – il dato è incerto -. Fra essi, nessun italiano: i tre dispersi erano tutti fra i cadaveri non ancora identificati.

Il bilancio delle vittime continua a crescere. Il numero degli israeliani uccisi nell’azione terroristica del 7 ottobre è ormai cristallizzato: circa 1400, con 1500 miliziani palestinesi ‘neutralizzati’. Invece, i morti palestinesi a Gaza sono in continuo divenire e s’avvicinao ai 6000 – 2360 i bambini, afferma l’agenzia di stampa palestinese Wafa -, con oltre 15 mila feriti. Oltre 400 gli obiettivi colpiti, dice l’aeronautica israeliana: anche aree nel sud della Striscia dove i civili palestinesi avevano cercato rifugio dal nord. Le cronache continuano, inoltre, a registrare incidenti e vittime in CisGiordania e scaramucce con caduti al confine tra il Libano, dove ci sono i miliziani di Hezbollah, e Israele.

I negoziati per barattare la liberazione di ostaggi con l’ingresso nella Striscia di aiuti umanitari vanno a rilento, nonostante la mediazione di Qatar ed Egitto. Al valico di Rafah, tra la Gaza e l’Egitto, i convogli umanitari transitano con il contagocce, tra informazioni spesso contraddittorie: viveri e medicinali, niente energia, nonostante gli ospedali non possano più alimentare incubatrici e camere operatorie. Fonti dell’Onu indicano che carenza di carburante e bombardamenti mettono fuori uso i due terzi delle strutture sanitarie della Striscia. Ma i responsabili israeliani dicono che “gli sforzi umanitari non possono ostacolare il conseguimento degli obiettivi militari”.

Nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu il segretario generale Antonio Guterres e la delegazione d’Israele sono protagonisti, martedì, di una sceneggiata diplomatica dai toni forti. Guterres riconosce che “l’attacco di Hamas non viene da nulla”, dopo anni “di soffocante occupazione” (e d’impegni internazionali disattesi). Israele ne chiede le dimissioni. Ma non ne uscirà nulla.

Antony Blinken, segretario di Stato Usa, bilancia il riconoscimento del diritto alla difesa di Israele con il rispetto delle tutele umanitarie del popolo palestinese, che non va confuso con Hamas. Ma l’Amministrazione Biden è contraria a un cessate-il-fuoco ora perché “beneficerebbe solo Hamas” e ha inviato in Israele consiglieri militari per le prossime operazioni, forti dell’esperienza maturata nella battaglia contro l’Isis a Mosul.

E continua il pellegrinaggio della solidarietà in Israele, che s’accompagna a un parallelo delicato esercizio di persuasione per evitare che il conflitto s’allarghi e deflagri a livello regionale o globale. Si torna a parlare della soluzione dei due Stati, ciascuno sicuro all’interno dei propri confini, affermata nel 1993 dagli accordi di Oslo, ma poi finita nel dimenticatoio della diplomazia e sepolta, tra il 2017 e il ’21, sotto l’ostilità congiunta del governo Netanyahu e dell’Amministrazione Trump.

Dopo il presidente Usa Joe Biden, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il premier britannico Rishi Sunak, la premier italiana Giorgia Meloni, martedì è stata la volta del presidente francese Emmanuel Macron, mentre la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock completava una missione in vari Stati del Medio Oriente. Macron propone di mettere insieme una coalizione contro Hamas del tipo di quella contro l’Isis: un modo per prendere tempo.

Una delle due anziane donne prese in ostaggio e liberate ha raccontato il suo dramma: “Sono stata all’Inferno”, dice Yocheved Lifshitz, 85 anni, in conferenza stampa, ricordando di essere stata rapita e portata nella Striscia attraverso un dedalo di tunnel, “sembra una ragnatela”. Lei e Nurit Cooper, 79 anni, sono state consegnate al valico di Rafah in mani sicure: “Ci hanno trattate bene, avevamo la visita di un medico ogni due / tre giorni”, racconta Lifshitz, un’attivista per la pace, che accusa apertamente il governo Netanyahu per quanto avvenuto il 7 ottobre. Al momento della liberazione, Lifshitz ha dato la mano a un suo carceriere e lo ha salutato con “Shalom”, pace. Le dichiarazioni della ‘nonna d’Israele’ sono giudicate dai media israeliani “una catastrofe mediatica” per Netanyahu.

Guerra Israele – Hamas: la vacuità dei Vertici e gli intrecci con Ucraina e altri conflitti

L’Amministrazione Biden, dopo avere diffuso un’allerta terrorismo a tutti gli americani nel Mondo, sta studiando un piano per evacuare centinaia di migliaia di cittadini statunitensi che potrebbero trovarsi in aree di pericolo, se il conflitto dovesse finire fuori controllo. I leader dell’Ue, che saranno a Bruxelles domani e venerdì, s’apprestano a lanciare un appello per una “pausa umanitaria” a Gaza, visto che, come ammette il capo della diplomazia europea Josep Borrell, non c’è l’accordo per perseguire l’obiettivo più ambizioso di un cessate-il-fuoco.

Che i Vertici non servano a sbloccare la situazione lo si è già visto nel fine settimana al Cairo, dove se n’è celebrato uno per la pace cui erano assenti tutti quelli che contano, Israele e Hamas, Usa e Russia e Cina. Erano, invece, presenti i comprimari di questa vicenda, quelli che contano poco o nulla e che non sono neppure riusciti a concordare una dichiarazione comune: segno che la ricerca di una soluzione al conflitto in Medio Oriente è in alto mare.

E venerdì, a Washington, Usa e Ue avevano celebrato il loro Vertice, che non si faceva da due anni, e recitato i riti di un’amicizia appena scalfita da qualche screzio economico e commerciale, ma basata sul fatto che, nella guerra in Ucraina come in quella tra Israele e Hamas, l’Europa di Ursula von der Leyen è sdraiata sulle posizioni statunitensi, senza grande autonomia di giudizio e d’azione.

E un intreccio tra i due conflitti si manifesta con la difficoltà di fare fronte agli impegni di forniture sui due fronti: l’Ucraina sollecita l’Occidente a incrementare la produzione di armi e munizioni, temendo di restarne a corto se l’attenzione dei Paesi della Nato dovesse volgersi più a Sud che a Est.

Se ci sarà un’escalation in Medio Oriente, gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno distribuire aiuti e assistenza, senza dimenticare gli altri focolai di conflitto recentemente apertisi, e forse non a caso, dal Caucaso ai Balcani all’Africa sub-sahariana. Senza dimenticare le tensioni con la Cina, specie intorno a Taiwan.

Giovanni Di Lorenzo, il direttore di Die Zeit, autorevole settimanale tedesco, vede in Occidente “una stanchezza della compassione”: le opinioni pubbliche ne avrebbero abbastanza di guerre e massacri. Sul fronte ucraino, secondo il Washington Post, questo fa gioco al presidente russo Vladimir Putin, che può pensare che il sostegno a Kiev vada esaurendosi, nonostante le promesse d’assistenza militare e finanziaria, oltre che umanitaria, “fin quando necessario”. Malta ospiterà, sabato e domenica, la terza tappa dei colloqui di pace per l’Ucraina, già svoltisi a Gedda e a Copenaghen e finora sterili.

Sul fronte mediorientale, Politico ritiene che Hamas sia riuscita “a riportare gli occhi del mondo”: l’organizzazione “potrà essere presto annientata”, ma, “insieme ai suoi sodali, fra cui Iran e Russia, è riuscita a spostare l’attenzione dall’Ucraina al conflitto nella Striscia, molto emotivo e divisivo” – e il cui bilancio di vittime civili è, in 20 giorni, giù confrontabile con quello di 20 mesi di conflitto ucraino -.

Guerra Israele – Hamas: il fronte interno al Governo Netanyahu

Lo slittamento dell’operazione di terra – riferito anche dalla radio militare israeliana – è dunque legato ufficialmente alle necessità di favorire la liberazione degli ostaggi e di consentire l’ingresso degli aiuti umanitari, oltre che di attendere che il rafforzamento del dispositivo militare Usa nell’area sia completato. Ma c’è pure un fronte di dissidi interno al Governo Netanyahu.

Proprio per smentire frizioni tra esecutivo ed esercito sui tempi dell’invasione, il premier, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato Maggiore Herzi Halevi hanno pubblicato un’insolita dichiarazione congiunta, in cui hanno sottolineato di essere “in stretta e piena collaborazione”, chiedendo ai media “di evitare notizie false”.

Massimo Lomonaco, corrispondente dell’ANSA da Israele, scrive che “le voci su dissidi interni sono state alimentate da indiscrezioni secondo cui “almeno tre ministri” starebbero valutando se rassegnare le dimissioni per obbligare il premier ad assumersi le proprie responsabilità per l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

L’esercito israeliano, comunque, continua a prepararsi: i soldati, quelli in servizio e i richiamati, stanno conducendo una “serie di esercitazioni in modo da migliorare le capacità per l’operazione nella Striscia”, spiega un portavoce militare: si stanno addestrando “squadre di combattimento che uniscono forze di fanteria, corpi corazzati e altre unità” destinate a essere impiegate “in una serie di diversi scenari”.

I militari sono convinti che per raggiungere gli obiettivi della guerra contro Hamas occorra iniziare l’offensiva di terra “il prima possibile”. E l’esercito ha informato il governo di essere pienamente pronto, convinto di potere raggiungere gli obiettivi stabiliti anche a costo di pesanti perdite e nonostante gli attacchi degli Hezbollah al nord.

L’Iran non accenna a far scendere la tensione: dopo le intimidazioni di domenica, un comandante dei Pasdaran ha minacciato un attacco diretto contro Israele, indicando come obiettivo Haifa. E Washington ha a sua volta accusato il regime degli ayatollah di “facilitare” gli attacchi contro le basi americane in Medio Oriente da parte di milizie sciite.

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