Cultura

Quando Schumacher riportò la Ferrari sul tetto del mondo

08
Ottobre 2023
Di Giampiero Cinelli

Gli allineamenti degli astri danno giorni che evocano qualcosa di speciale. Max Verstappen ha vinto il campionato di F1, per lui è il terzo titolo, conquistato ieri e assegnato formalmente questa domenica, 8 ottobre. La stessa data in cui, 23 anni fa, si laureò tre volte campione Michael Schumacher. Quella domenica del 2000 in fondo se la ricorda anche chi con i motori non ha molta familiarità. Perché la Ferrari sta nell’immaginario di tutti. I pranzi in famiglia a guardare la corsa sono un fatto culturale, quasi un’idea di nazione. Era il periodo in cui le crisi peggiori erano passate e quelle attuali ancora lontane. Nessun dubbio sulla macchina del cuore, la stessa del nonno, del papà e della mamma. La rossa. Unica anche se non vinceva da 21 anni. Schumacher la riportò sul tetto del mondo tagliando il traguardo nella gara di Suzuka, aggiudicandosi il titolo piloti. La volta dopo in Malesia assicurò alla Scuderia di Maranello anche il titolo costruttori. La vittoria consentì alla Ferrari di superare la Williams nel numero di mondiali vinti (10 contro 9). Quel mondiale fu un vero e proprio viaggio dell’eroe, che all’inizio conquista 5 gare su 8, poi è costretto al ritiro tre volte, trovandosi dietro di 6 punti alla Mercedes di Mika Hakkinen, e alla fine trionfa rimontando sul finlandese nel gran premio di Giappone.

In totale il pilota tedesco donò cinque titoli di fila alla Ferrari, sia piloti che costruttori, dal 2000 al 2004 (più un titolo costruttori nel 1999). Ma il cammino verso l’apice non è stato agevole. Arrivato in Ferrari nel 1996, Schumi dovette arrendersi alla superiorità della Williams di Demon Hill; il mondiale successivo, nel 1997, ancora della Renault guidata da Villeneuve. Una sconfitta in cui non si può nemmeno dare al ferrarista l’onore delle armi, dato che nell’ultima gara, a Jerez, cercò di buttare Villeneuve fuori dalla pista, subendo la squalifica nella classifica finale. Il 1998 invece l’anno della McLaren di Hakkinen, che Schumacher precedette al secondo posto. Nel ’99 l’infortunio al Gran Premio di Silverstone, quando il tedesco finí dritto contro le barriere e si fratturò la gamba. La vettura aveva l’impianto frenante difettoso. L’incidente lo costrinse ad interrompere il campionato, sostituito da Mika Salo. La leadership nella squadra quindi passò ad Eddie Irvine che per soli due punti al termine della stagione non oltrepassa Hakkinen al quale andò il titolo. Schumacher si piazzerà comunque al quinto posto.

Il campione lascerà la Ferrari nel 2006, abbandonando la Formula 1. Lavorando da consulente e collaudatore, fino a un sorprendente ritorno alle corse nel 2010 in Mercedes, per salutare definitivamente nel 2012. Dopo di lui la Ferrari si è imposta solo nel 2007 con Kimi Raikonen a livello piloti e a livello costruttori nel 2008. I fasti di un tempo sembrano svaniti, eppure non va dimenticato che negli anni il cui il sette volte campione lavorò per Maranello (aveva già vinto con la Benetton), l’ambiente si mostrò abbastanza critico, con gli addetti ai lavori che posero nel dibattito l’idea di fallimento del progetto. Troppo severo parlare in quei toni, non considerando la qualità di vetture quali la Renault Williams e McLaren Mercedes. Del resto la scelta di Montezemolo fu priva di dubbi. il ragazzo aveva stupito tutti gareggiando per un team non blasonato e portandolo in vetta. Flavio Briatore ha raccontato di essere riuscito a prenderlo perché il suo contratto con la Jordan era poco solido. Il talento c’era, ma lui era reputato troppo giovane e abituato a vetture di un certo tipo. Quando è salito sulla Ferrari vantava tutt’altro status, pretese un contratto con clausola rescissoria qualora il manager Jean Todt fosse andato via. Risultato? Todt venne blindato per 10 anni. E sappiamo com’è andata.

Fino a quel tragico incidente sulla neve. Che getta su Michael Schumacher un’ombra di mistero. La famiglia mantiene riservatissime le notizie sul suo stato di salute. Michael è vivo, eppure si teme non sia più davvero lui. Le persone parecchio legate allo sportivo hanno il permesso di andare a trovarlo, ritornando dalla visita appaiono sempre impacciate di fronte alle domande incalzanti dei media. Qualcuno riesce a dissimulare, altri inciampano in dichiarazioni preoccupanti. Jean Todt non ha mai lasciato solo Schumi continuando a sostenere i suoi cari: «Lasciamolo tranquillo, rispettiamo la volontà di privacy di Corinna e dei figli, sappiamo che quell’incidente ha avuto delle conseguenze. Chi dice che sa qualcosa, non sa niente. Vado sempre a trovarlo. Lui e la sua famiglia sono la mia famiglia», ha dichiarato il francese ad aprile scorso. Commosso anche il pensiero di Luca Cordero di Montezemolo, che in passato ha detto: «Penso a Michael tante volte. Tutti gli anni trascorsi da quando è avvenuto il terribile incidente. Amo la sua famiglia, sua moglie Corinna e i bambini Gina e Mick erano spesso a casa mia. Prego spesso per lui. I tempi con Michael erano tempi speciali».