di Giuliano Poletti
L’Osservatorio per lo Smart Working del Politecnico di Milano valuta che prima della pandemia le persone interessate a questa modalità di lavoro fossero circa 600mila. Oggi questo numero si è moltiplicato per 10 e si aggira intorno ai 6 milioni. Tutto questo è avvenuto nell’arco di pochi mesi, per molte persone e le relative aziende in pochi giorni. Un'accelerazione che ha bruciato tutti i tempi di analisi, progettazione, adattamento e, nei fatti si è limitata all'esplosione del lavoro a distanza.
Il lavoro agile era entrato in modo esplicito nel sistema legislativo con la legge n°81 del 2017 con l’obiettivo di dare copertura normativa ad una modalità di lavoro ancora poco diffusa ma che presentava interessanti caratteristiche in prospettiva futura. In quel testo, opera condivisa tra Ministero del lavoro, il prof. Maurizio Del Conte ed il Sen. Tommaso Nannicini, ci si preoccupava essenzialmente di garantire ai lavoratori la libertà di scelta, le tutele contrattuali ed assicurative, il diritto alla disconnessione.
Per una volta si può dire che il legislatore aveva, almeno in parte, anticipato processi di cambiamento nel mondo del lavoro anche per garantirne uno sviluppo lineare ed equilibrato; in tutti i protagonisti dell'iniziativa c'era la consapevolezza del potenziale insito in quella novità, ma tutti eravamo convinti che i tempi di implementazione e sperimentazione non sarebbero stati velocissimi. Non avevamo fatto i conti con la pandemia da Coronavirus che ha imposto il distanziamento, così tutti hanno capito che il lavoro a distanza era una delle poche risorse a disposizione per limitare i danni e continuare le attività. Anche il legislatore ha dovuto agire per rendere semplice e rapidamente fruibile questa possibilità, eliminando alcuni dei vincoli che la normativa precedente imponeva.
Questa situazione ha portato molte imprese, la pubblica amministrazione e molte persone a sperimentare questa modalità di lavoro consentendo di verificare su larga scala pregi e difetti della stessa. Al tempo stesso la rapidità del processo e la sostanziale obbligatorietà ne hanno mutato le caratteristiche e parzialmente distorto le finalità. Se si parte dalla definizione fornita da CIPD “ il lavoro agile è un approccio all’organizzazione del lavoro finalizzata a guidare una migliore efficacia ed efficienza nel raggiungimento degli obiettivi attraverso la combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione” si comprendono molti commenti che negano che quello che abbiamo di fronte possa essere definito "Smart Working" e preferiscono la definizione di Lavoro a Distanza o Telelavoro, anche per segnalarne i limiti.
Cautela giustificata da moltissimi esempi di procedure o strumenti mal applicati che hanno richiesto tantissimi sforzi e molto tempo per superare convinzioni negative ed opposizioni causate dalle prime esperienze. A questo punto però, dovrebbero essersi depositate molte conoscenze in questa materia tali da consentire un bilancio sia degli aspetti positivi che delle problematicità, finalizzati ad organizzare una nuova fase più programmatica e progettuale.
Un richiamo preliminare andrebbe mosso sia agli entusiasti che ai detrattori: questo cambiamento ha moltissime implicazioni e abbisogna di analisi, progettazione, sperimentazione ed adattamenti. Le semplificazioni non sono ammesse. Quando lo scenario cambierà sarà indispensabile progettare organizzazioni aziendali che prevedano lo Smart Working, processi decisionali e produttivi che ne tengano conto. Ad esempio tutti i processi aziendali dovranno essere completamente informatizzati, diversamente molte procedure si bloccheranno, magari solo perché l’archivio di turno non è ancora del tutto informatizzato e non è possibile accedere a tutte le informazioni.
Probabilmente si dovrà procedere con un vero e proprio mix tra lavoro in presenza e lavoro a distanza per non disperdere il valore aggiunto dell’esperienza e dell’empatia che consegue al vivere insieme ai colleghi e condividere il senso di appartenenza ad una comunità. Si dovrà poi mettere mano alla formazione, poiché è probabile che molte persone non abbiano un pieno possesso di tutte le conoscenze che saranno necessarie per massimizzare efficienza ed efficacia nell’uso delle procedure e delle strumentazioni disponibili. Bisognerà quindi superare la divisione esistente tra i diversi livelli di conoscenza.
Si proporrà un problema di gestione e valutazione delle performance. Poiché tendenzialmente si supererà il concetto di orario di lavoro come misuratore quasi esclusivo nella relazione di lavoro e prenderanno valore obiettivi e risultati.
Dovrà cambiare la leadership, necessariamente più personalizzata e ancor più fondata su fiducia e responsabilità. In sostanza servirà un rapporto più maturo a tutti i livelli.
Cambieranno i luoghi! Le nostre case sono automaticamente un buon luogo per lavorare? Abbiamo notato tutti situazioni con i genitori al PC e i bambini a casa da scuola magari in DAD. E si è riproposto con forza il rischio che siano le donne a pagare il prezzo anche di questo cambiamento.
Cambieranno gli uffici, l’organizzazione della vita delle persone e dei servizi per l’impresa e per le persone. Tutto questo sarà positivo se i vantaggi che le nuove tecnologie comportano saranno equamente ripartiti ed andranno nella giusta misura finalizzati ad un miglioramento qualitativo della vita delle persone e delle comunità.
In ogni caso anche per lo Smart Working come per molti altri aspetti del post pandemia il futuro sarà molto diverso dalla situazione precedente. Le accelerazioni possono essere buone opportunità se sappiamo guidarle. Diversamente finiremo fuori strada.