Politica

Il punto della Farnesina sul Mediterraneo

12
Gennaio 2021
Di Flavia Iannilli

Per capire quali siano le strategie efficaci del nostro Paese e dell’Europa da mettere in campo per raggiungere la stabilità nel Mediterraneo bisogna valutare attentamente tre aspetti fondamentali. Il primo è l’impatto della pandemia a livello socio economico. Il secondo riguarda gli sviluppi regionali sempre considerando l’emergenza sanitaria. Infine il ruolo dell’Italia e dell’Europa dal punto di vista delle direttrici strategiche nell’area.

Il Ministro plenipotenziario, capo dell’unità di analisi e programmazione, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Armando Barucco, ha approfondito i punti dando il suo contributo scientifico e diplomatico durante l’indagine conoscitiva sul tema in Commissione Esteri alla Camera.

L’impatto economico della pandemia ha prodotto una contrazione del Pil del 5,2%. “La riduzione riguarda soprattutto le economie petrolifere con una forte differenza tra quelle dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (-6%) e le altre esportatrici di petrolio e di gas (-7%) Elemento comune è comunque il cosiddetto “doppio shock”.

Altro dato rilevante è l’impatto della pandemia sul commercio globale. Il problema deriva soprattutto da una scarsa integrazione commerciale ed economica dei Paesi. Infatti solo il 9% del commercio mondiale è interregionale. Importante è anche il tema della crescita delle disuguaglianze, che ha portato ad una situazione di precarietà in Europa così come nel Mediterraneo allargato.

Oltre a una perdita di 1,7mln di posti di lavoro nell’area Mediterranea, c’è una proiezione di aumento dei poveri (coloro che guadagnano meno di 5,5 $ al giorno) da 178mln pre-Covid ai 200mln oggi, su un totale di 457mln di popolazione.

Per ciò che riguarda i giovani il 27% è disoccupato (tasso più alto del mondo) ed il 40% dei 200mln di ragazze e ragazzi considera la concreta possibilità di emigrare. Non meno preoccupante è il dato dell’occupazione femminile con una perdita di 700mila posti di lavoro in un’area in cui il tasso di partecipazione è già molto basso. Questi dati portano alla conseguenza inevitabile della fuga di cervelli con impatto diretto sui flussi migratori e sul capitale umano.

La pandemia si sta espandendo con la definizione classica, e a volte positiva, di acceleratore di tendenze, cosa che corrisponde alla realtà del Mediterraneo e della politica internazionale. “C’è un fattore relativamente positivo, ossia che le limitazioni poste della pandemia hanno portato all’attenuazione di alcuni contesti di crisi; si dovrà valutare se sarà un dato durevole o se si limiterà alla crisi sanitaria”.

Restano i progressi che si stanno registrando in Libia nell’ambito del processo di Berlino e grazie anche all’azione della diplomazia italiana. Nel Mediterraneo orientale c’è un tema di fondo che riguarda la Turchia che è partner strategico di Europa e in particolare dell’Italia, ma che nel frattempo ha una politica estera molto assertiva. Con gli Accordi di Abramo, chiosa Barucco: “Stiamo assistendo ad un processo di accelerazione senza precedenti del processo di normalizzazione tra Israele e il mondo arabo e risulta chiaro che tutti guardano al collegamento tra implementazione degli accordi e la ripresa del processo di pace israelo-palestinese”. Si spera che presto si aggiungano altre nazioni oltre ai Paesi già coinvolti: Emirati Arabi, Bahrain, SudanMarocco.

Non è da sottovalutare anche la questione del rientro degli Stati Uniti nel Jcpoa (o Iran Deal), il ruolo regionale dell’Iran e l’atteggiamento della nuova amministrazione USA nei confronti del Jcpoa che è una montagna russa nei rapporti con l’Iran. Sulla situazione statunitense non ci si può aspettare un ritorno al passato. E’ finita l’epoca in cui Washington era il punto di riferimento per la risoluzione dei problemi; posizione che deve fare i conti con il Pivot to Asia del Presidente Obama, il cambiamento degli equilibri geopolitici e l’importanza che riveste sempre di più  per gli Stati Uniti l’asse col Pacifico.

Inoltre è da comprendere la capacità dei Fratelli Musulmani di essere soprattutto movimento che costruisce una cinghia di trasmissione tra società e politica, un ruolo fondamentale che ora è in crisi per “la perdita di spinta propulsiva di certe istanze rivoluzionarie e con le contraddizioni collegate alla gestione del Paese come Marocco e Tunisia, e la Fratellanza si trova a dover ripensare sé stessa”.

Per le strategie di medio e lungo periodo si parte dalle proteste del 2018/2019 guidate da giovani in ricerca di giustizia sociale e in cui hanno giocato un ruolo modesto i fattori religiosi e ideologici. Quindi ci si riduce al tema di come affrontare la sicurezza del Mediterraneo in un contesto globale che tenga conto della situazione dell’area, dei collegamenti tra l’area e alcune regioni fragili e vulnerabili. L’unica strategia è “quella di mettere a sistema i contributi delle principali organizzazioni e la capacità di pianificare e intervenire dell’Ue. E in questo senso i punti di riferimento sono il ruolo della NATO nel Mediterraneo, i processi a guida Onu, e la dimensione Mediterranea dell’Osce, nonché quella Ue”.

Sull’Osce si concentra Piero Fassino che chiede se non sia tempo “di pensare ad una nuova strategia europea e l’Italia non possa avere un ruolo più di punta per proporre una strategia europea aggiornata?” Facendo riferimento agli Accordi di Helsinki (1975) e Barcellona (1995) tenendo conto che l’Osce stessa non è potuta intervenire sulla vicenda Armenia-Azerbaijan. Secondo Barucco bisogna “riuscire a costruire delle comunità di interessi ed è un compito primario dell’Ue. Oltre a dover affrontare la Turchia per il ruolo che vuole avere nel Mediterraneo. La politica di vicinato è un prodotto italiano e rispondeva ad una fase storica precisa, ma c’è da interrogarsi se sia ancora concepibile avere una politica di vicinato o se sia il momento di pensare ad una politica del Mediterraneo separata”.

L’Onorevole Lia Quartapelle interviene chiedendo dove sia il nostro interesse nazionale e Barucco specifica che “la questione di fondo è che l’islam politico ha avuto una strada violenta e radicale che ha portato alla formazione di Isis e Al-Qaeda, ma anche una strada che si è costruita con correnti politiche e processi di riforme costituzionali. Tema fondamentale è la capacità in certe fasi di riempire dei vuoti, relativi alla carenza di strutture sanitaria o educativa. La situazione di vuoto politico risponde a delle esigenze comunque reali e al tema della giustizia sociale, molto sentita nel mondo Islamico. Quando daremo la capacità a questi Paesi di soddisfare queste esigenze si avvieranno processi di democratizzazione interna”.

Photo Credits: Pandora Rivista