Ambiente
La montagna d’estate è un viaggio nel tempo: come toccare con mano il cambiamento climatico
Di Simone Zivillica
L’idea era di arrivare in Irlanda per poi passare in Scozia e tornare a Roma attraversando l’Inghilterra e la Francia. Lo svolgimento ha voluto che il camper preso a luglio, un Granduca del 1992, abbia avuto troppi cedimenti per continuare in sicurezza, e soprattutto serenità, dopo Lucerna, in Svizzera. Abbiamo dimostrato a noi stessi, e a chi legge queste righe, che la vanlife, ormai da anni tra i trend più popolari sui social network, è bella ma molto lontano dall’essere facile, soprattutto quando i budget non sono sponsorizzati e i mezzi contenuti.
Abbiamo dovuto battere in ritirata, non senza qualche rimorso, verso la Toscana, dove la rete di recupero italiana per eccellenza, la famiglia, ha dato una mano essenziale per potersi godere le restanti due settimane, abbondanti, di ferie. Aggiustato l’aggiustabile, si è voluto tornare a puntare il muso del Ducato verso nord, un po’ per provare a scappare dal caldo, un po’ per andare verso mete sconosciute. Un po’ perché la Val d’Aosta ha un allure di posto genuino e duro, lontano ma senza l’esoticismo della meta antipodale, ormai divenuto anch’esso refrain costante sui reel di tutti i social.
Il Monte Bianco è diventata la nuova meta, e non poteva andare meglio. Il camper ha smesso di fare capricci, anche se le pendenze medie delle strade di montagna non hanno aiutato i suoi 90 cavalli, pochi. La prima sorpresa sono, appunto, le pendenze. Per chi, come chi scrive, è nato e cresciuto in pianura e ha scoperto la montagna solo qualche anno fa, gradualmente partendo dai modesti e smussati appennini centrali, senza mai osarne le cime, la ripidità di questo massiccio è inedita e sfidante. Per il camper, certamente, ma soprattutto per le gambe, che si usino per camminare lungo i sentieri o per pedalarli, quelli stessi sentieri. Le sfide, però, soprattutto quando ci si immerge in luoghi sconosciuti, sono un piacevole grattacapo da risolvere a tutti i costi, e i costi sono quasi sempre acido lattico nelle gambe e caviglie gonfie.
La seconda sorpresa è ancor meno piacevole, stavolta senza pigra ironia. Fa caldo. Fa troppo caldo. Siamo costantemente sopra i 1500 metri di quota e il giorno la temperatura non è mai scesa sotto i 30 gradi, la notte difficilmente sotto i 17. Ancor più grave, lo zero termico si è raggiunto quasi sempre, durante l’estate, oltre i 5000 metri. Un qualcosa di decisamente grave, che sta già cambiando il territorio in maniera fin troppo concreta. Chi è di casa qui tra la Val Ferret e la Val Veny si lamenta dei tanti insetti, soprattutto delle zanzare, che affollano i boschi intorno la Dora Baltea, il fiume che scende dai ghiacciai e che taglia le valli con il suo moto impetuoso. Fin troppo impetuoso, visto che il calore a monte fa sciogliere quantità di ghiaccio oltre la norma e la Dora, come la chiamano qui, è gonfia da far paura, le sue rapide più veloci e tumultuose. Qualche giorno fa, quando ormai si era rientrati a Roma tra le vie del centro istituzionale, in quelle valli è tornato il freddo, ha anche nevicato. È normale, in montagna. Il punto non è meteo, il punto è il clima. L’attenzione deve andare alle medie delle temperature che si alzano, non alle fluttuazioni – anche abissali – che si possono verificare, e che si sono sempre verificate, quotidianamente.
Qui è un parco giochi per chi trova divertimento tra sentieri, boschi, pietraie, fiumi gelidi, laghi alpini, rifugi e bivacchi piuttosto che sotto un ombrellone o una console. Trekking, canyoning, mountain biking, rafting, climbing e chi più gerundi abbia più ne metta. Proprio con il rafting ci si rende tangibilmente conto di quanto il fiume si ingrossi tra una discesa e l’altra, specialmente se effettuate nel pomeriggio, quando il ghiacciaio ha incamerato tutto il calore della mattina e smaltito il “fresco” della notte.
Per dare ancor meglio l’idea, a Punta Hellbronner, ai 3462 metri sopra il livello del mare, ci si faceva selfie in camicia con sfondo la cima del Monte Bianco. Si stava serenamente sopra i 10 gradi. E non è solo un problema climatico – si badi bene, una volta ancora: climatico, non meteorologico – ma anche culturale. La montagna calda, infatti, non fa bene anche perché si maschera di una maggiore e facilitata accessibilità a masnade di cittadini pronti a inondarla di creme solari, pile fluo, fin troppo spesso sporcizia lungo i sentieri. Qui li chiamano merenderos. Costoro si rendono sempre più protagonisti di eventi spiacevoli, e talvolta drammatici, in alta quota.
Proprio da Punta Hellbronner siamo stati testimoni della vista dell’elicottero di salvataggio che si avvicinava al luogo dove una signora in scarpe da ginnastica aveva deciso di andarsi a fare una passeggiata sul ghiacciaio, finendo in un crepaccio. Altre testimonianze sono arrivate lungo tutta l’estate da altre mete preda dei merenderos, come quel gruppo di ragazzi rimasti bloccati sempre su un ghiacciaio perché andati in sandali da spiaggia. Eventi, questi, che pesano sulla vivibilità della montagna, sulle casse delle comunità locali montane, che pure vivono sempre più quasi esclusivamente di turismo. Il classico e sempre più difficile compromesso ancora tutto da trovare tra accessibilità e preservazione dell’autenticità di luoghi che, almeno per chi scrive, assurgono ogni volta che li si visita, sempre più al grado di sacralità.
Non possono, infatti, passare come meno che sacre esperienze come il bagnarsi in un fiume che fino a qualche ora prima era ghiaccio, l’ascoltare il tonfo dei sassi nel suo letto che vengono trascinati e fatti rotolare uno sull’altro, il mangiare al buio nel bosco con persone conosciute poco prima e dover parlare ad alta voce perché la Dora urla, vedere a occhio nudo la Via Lattea in un campeggio a valle, scorgere animali selvatici durante gli ultimi chilometri di cammino della giornata. Ecco, la montagna è anche queste cose qui, e perderla per un’inazione climatica o comportamenti non adatti non ha alcun senso. La speranza è che ghiacciai siano clementi e ci concedano del tempo in più per capire, e per capirli. Del resto salire in quota può essere un viaggio nel tempo che insegna com’eravamo e come saremo, ma anche come dovremmo essere.
P.s.: Ai 10 gradi di Punta Hellbronner ho provato a rispondere con una camicia, ma solo per la foto, sono dovuto correre a comprare una felpa allo shop. Sul fronte c’è scritto “Save the glacier”.