Politica
La Balena bianca, 30 anni da quell’eredità forse perduta
Di Pietro Cristoferi
Roma, 26 luglio 1993, 30 anni fa, un caldo torrido forse meno di quello di questi giorni, ma sicuramente la calura estiva colpiva i 500 delegati della Democrazia cristiana venuti da tutta Italia al Palazzo dei congressi dell’Eur per ascoltare le parole del segretario Mino Martinazzoli.
Nell’anno precedente i maggiori esponenti del partito e degli storici alleati sono stati colpiti dalle inchieste del pool di Mani Pulite. “Che Dio ti aiuti, Mino” sono le parole dette da De Mita a Martinazzoli prima che il Segretario salga sul palco per annunciare quella che sarà poi l’inizio dell’archiviazione del fenomeno politico scudocrociato. E con queste parole che gli rimbombavano nella testa, il volto segnato, l’ultimo dei segretari Dc annunciava che sarebbe iniziata una terza fase storica con un partito nazionale di programma, fondato sul valore cristiano della solidarietà che si sarebbe dovuto chiamare Partito Popolare.
Finiva la Dc, finiva in malo modo senza troppe formalità, tant’è che la storia che ne è seguita dopo è stata un continuo confronto di battaglie giudiziarie su nomi, simboli, e lotta per chi fosse il detentore della reale eredità del partito scudocrociato. Ancora oggi si possono trovare molti esponenti che si proclamano titolari del simbolo che ha tenuto le fila della politica del nostro paese per quasi mezzo secolo. Dalla Resistenza a Tangentopoli, dal boom economico agli anni della terribile recessione, dal ‘68 al terrorismo rosso e nero. La storia del partito della nazione ha solcato la storia della Prima repubblica e ne ha mostrato i successi, il celebre risultato del 48,5% di De Gasperi del 1948, ma anche gli aspetti più cupi, come il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro del 1978 per mano delle Brigate rosse.
Si può dire che la storia della Balena bianca abbia dentro di sé la tipica storia italiana. Proprio per questo suo essere un partito tipicamente italiano, tutti hanno cercato poi di recuperare o di impossessarsi della sua eredità. Se con successo o meno si pensa che non sia dato saperlo, forse perché non ci sono abbastanza democristiani in vita per dirlo, o forse perchè non ci sono affatto o per nulla democristiani 2.0, ossia quelli del XIX secolo.
“Non moriremo democristiani” titolava Luigi Pintor nel Manifesto del 28 giugno 1983 quando il Pci arriva allo storico risultato venendo staccato di soli tre punti percentuali dalla Democrazia cristiana. Pintor prospettava una fine imminente della Democrazia cristiana che in realtà si sarebbe manifestata solo 10 anni dopo e comunque preceduta dalla dissoluzione del blocco sovietico e dello stesso Partito comunista italiano per mano di Achille Occhetto. Questo slogan stravolto nel tempo in “Moriremo democristiani” (la cui fortuna si deve anche a un film del Terzo Segreto di Satira) a significare che la Dc non è mai sparita dalla scena politica, ma anzi è stata recuperata o imitata dai leader che si sono succeduti nel tempo.
A Silvio Berlusconi, seppur di provenienza socialista, si deve il primo impegno a voler imitare l’idea del partito nazionale con Forza Italia, proprio il nome del partito riprende uno storico manifesto della Dc delle elezioni politiche del 1987. Qualche transfugo finì nel partito guidato dalla forte leadership del Cavaliere, ma senza più la possibilità di esprimere realmente quel pensiero e quegli ideali che avevano caratterizzato il partito delle correnti. Talvolta alleato, talvolta avversario di Berlusconi fu Pierferdinando Casini che cercò insieme a Mastella, Cesa e poi anche Buttiglione di agguantare quel manipolo di democristiani per spostarli sul fronte del centrodestra (prima con e solo poi senza trattino).
Complice l’eredità del Partito popolare confluita nel centrosinistra un’altra imitazione del fenomeno dallo scudocrociato fu il Pd di Matteo Renzi. Il senatore di Rignano che aveva militato nel Ppi di Martinazzoli e poi nella Margherita, ha sempre avuto ben in mente gli schemi del partito della nazione, e così con gli stessi schemi ha aggregato un consenso che alla europee del 2014 gli ha portato quel 40% che sapeva un po’ di Dc. Parabola che si è però poi eclissata sotto i colpi del referendum e la storia che tutti ben conosciamo, tanto che il Pd di Renzi che imitava un po’ il partito dello scudocrociato si ritiene oggi non esistere più.
Non è rimasto esente dal richiamo della Balena bianca neanche il Movimento 5 stelle, a Giuseppe Conte si deve in effetti riconoscere il merito di aver portato il suo partito a trazione meridionalista, come in parte lo era la Democrazia cristiana, a cercare di seguire il consenso e gli accordi con le altre parti politiche in Parlamento per rendere il MoVimento un partito istituzionale e di governo nei due esecutivi da lui presieduti. Tra l’altro dell’avvocato del popolo italiano si ricorda una vivace partecipazione ad un convegno organizzato da Rotondi in commemorazione di Fiorentino Sullo, storico esponente della Dc irpina, quella fu più che una conferma.
Giorgia Meloni non ha mai avuto la pretesa di imitare il partito della nazione, fino a che questo si è impossessato di lei. Alla vigilia delle elezioni il clamore elettorale, la corsa al consenso e la possibilità (prima apparente poi reale) di cambiare un passato all’opposizione, tutto questo ha avvicinato Giorgia Meloni e il suo partito Fratelli d’Italia al mondo e alle logiche democristiane, più di quanto il Msi sia mai stato vicino alla Dc. Forse è questo l’ultimo tentativo di una strategica contaminazione elettorale, più che di una imitazione, di quella che era la tradizione della Balena bianca.
A imitarla in tanti, anche a buon diritto, ci hanno provato, nessuno ci è riuscito, forse anche perché ciò che è storia non lo si può replicare fuori dal contesto in cui quel partito è nato, ha vissuto e ha reso fertile un terreno politico. Senza dubbio questa identità politica che ha plasmato l’Italia per molti anni rimane, seppur nella penombra, nelle logiche politiche attuali; cara Balena bianca senza dubbio vivremo ancora da democristiani!