Esteri
Usa 2024: Trump, la vita è uno slalom tra comizi, processi, dibattiti e primarie
Di Giampiero Gramaglia
Avanti di questo passo, Donald Trump, dopo l’estate, dovrà cominciare a suddividere i suoi giorni tra quelli dedicati alla campagna elettorale e quelli presi dalle udienze dei processi dove è imputato: a marzo, comincerà a New York il giudizio per avere comprato, in nero, il silenzio d’una pornostar con cui aveva avuto una relazione sessuale – non ne doveva parlare durante la campagna del 2016 -; a maggio, inizierà in Florida quello per avere sottratto alla Casa Bianca centinaia di documenti riservati e ‘top secret’ ed essersi rifiutato di restituirli.
E varie altre nubi nere giudiziarie s’addensano sul suo autunno. Un terzo rinvio a giudizio gli è già stato pre-annunciato, per i fatti del 6 gennaio 2021; un quarto pare in arrivo, quello per le pressioni sulle autorità della Georgia perché alterassero a suo favore i risultati del voto del 2020. Ci sono poi le beghe personali: una scrittrice gli reclama soldi, danni morali per molestie sessuali; un ex legale rivendica onorari non corrisposti; querele cui il magnate, aduso ai litigi giudiziari, risponde contro-querelando.
Venerdì scorso, 21 luglio, la giudice distrettuale federale Aileen Cannon, nominata da Trump quand’era presidente, ha fissato la data d’avvio del dibattimento in Florida, respingendo la richiesta dei legali del magnate per un rinvio ‘sine die’, così che Trump potesse affrontare senza troppi fastidi la campagna per Usa 2024 e, se rieletto presidente, sottrarsi poi alla giustizia invocando i privilegi dell’Esecutivo. La giudice non ha neppure accolto un’istanza dell’accusa, che voleva invece anticipare l’inizio del processo.
La decisione della Cannon fa coincidere il dibattimento in Florida con la stagione delle primarie, anche se è ragionevole pensare che a maggio i giochi siano sostanzialmente fatti. Alcuni giuristi s’interrogano, però, sull’essere un candidato presidenziale e un imputato per crimini federali. Se c’è un certo consenso sul fatto che l’essere sotto processo non impedisca d’essere candidato e di fare campagna elettorale; non c’è invece unanimità, fra gli esperti della materia, se l’essere condannato impedisca di essere candidato e/o di essere eletto. Nei processi in cui è imputato, il magnate rischia condanne pesanti, a anni di carcere.
Non siamo ancora a questo punto. Ma il New York Times anticipa che Trump e i suoi sostenitori progettano, se faranno ritorno alla Casa Bianca, di espandere i poteri del presidente su tutti gli altri rami del governo, Congresso e giustizia compresi.
La corsa alla nomination repubblicana: una dozzina in lizza, soldi e dibattiti
Per ora, il magnate resta saldamente in testa alla corsa per la nomination repubblicana a Usa 2024; e ci sono sondaggi che lo danno vincente in un match rivincita con il presidente Joe Biden. Ma di qui al voto la strada è ancora lunga, quasi 500 giorni: in preparazione delle primarie, ci saranno dibattiti fra i numerosi aspiranti alla nomination repubblicana – si comincia il 23 agosto a Milwaukee -. Il 15 gennaio, invece, in coincidenza con il Martin L. King Day, che è una festa federale, i repubblicani apriranno le primarie con i caucuses nello Iowa.
La lista dei candidati alla nomination non cessa d’allungarsi: l’ultimo arrivato è l’ex deputato texano Will Hurd, che porta il lotto dei contendenti a quota 12. Hurd è sempre stato critico verso Trump, quando sedeva in Congresso – dal 2015 al 2021 – e successivamente: parte da lontano, è poco noto, ma punta a offrire un’alternativa moderata al magnate, che lui considera “un politico fallito”.
Più che a conquistare voti, molti aspiranti repubblicani, in questa fase, sono concentrati sul riuscire a qualificarsi ai dibattiti: per esservi ammessi, infatti, devono rispettare alcuni criteri che non tutti oggi centrano. Il Comitato nazionale repubblicano chiede, ad esempio, che il candidato che vuole partecipare ai dibattiti abbia ricevuto donazioni da almeno 40 mila donatori in tutta l’Unione (almeno 200 donatori in venti Stati) e figuri nei sondaggi nazionali.
Se Trump potrebbe permettersi di stare alla larga dai dibattiti, gli aspiranti meno conosciuti hanno invece bisogno di condividere il loro messaggio con una platea nazionale per cercare di uscire dall’anonimato. Così, il governatore del North Dakota Doug Burgum regala gift cards da 20 dollari a chi gli dona almeno un dollaro; e l’imprenditore Vivek Ramaswamy s’impegna a restituire il 10% delle donazioni.
Del resto, lo stato delle finanze di un candidato è da sempre un indice della sua solidità. Trump ha raccolto 17,7 milioni di dollari nel secondo trimestre 2023, nonostante i guai giudiziari (anzi, forse proprio grazie ad essi); il suo ex vice Mike Pence meno di 1,2 milioni; il governatore della Florida Ron DeSantis ben 20 milioni, ma li sta spendendo molto velocemente. In campo democratico, invece, Biden, presidente candidato, è estremamente parsimonioso: ha speso appena 1,1 milioni e ha in staff per fare campagna solo quattro persone – nel 2012, nello stesso periodo, Barack Obama ne spese 11 -.
L’intreccio dei casi giudiziari che coinvolgono Donald Trump
Itentativi, andati a vuoto, di Trump e dei suoi sodali di rovesciare l’esito delle elezioni nel 2020 e restare fraudolentemente alla Casa Bianca stanno per sfociare in un’incriminazione, la terza a carico del magnate. Il procuratore speciale nominato per indagare sulla vicenda, Jack Smith, ha infatti informato per iscritto l’ex presidente che è oggetto di un’indagine penale.
Gli sforzi di Trump di alterare l’esito del voto, che lui diceva essere frutto di frodi mai provate, condussero all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021: migliaia di facinorosi suoi sostenitori, che lui aveva aizzato con un discorso sulla spianata retrostante la Casa Bianca, invasero e devastarono il Congresso. Ci furono cinque vittime e numerosi feriti; decine di persone sono state già condannate per quella sommossa, fra cui molti esponenti di movimenti suprematisti definitisi “soldati di Trump”.
L’indagine del procuratore speciale coinvolge anche quanti, nella cerchia di Trump, collaborarono con lui per alterare l’esito delle elezioni. Ma le disavventure giudiziarie sembrano quasi galvanizzare il magnate: la sua tesi è che le sue incriminazioni sono tutte “politicamente motivate”; e che l’Amministrazione Biden vuole ‘fare fuori’ per vie giudiziarie l’antagonista più temibile.
L’indagine del Dipartimento della Giustizia sui fatti del 6 gennaio 2021, sollecitata dalle conclusioni di una commissione d’inchiesta della Camera, è agli sgoccioli: gli inquirenti, negli ultimi mesi, si sono soprattutto concentrati su una caotica riunione alla Casa Bianca, dove vennero, fra l’altro, evocate la possibilità di mettere sotto sequestro i macchinari per il voto e bloccare il trasferimento dei poteri da un’Amministrazione all’altra.
Fra i testimoni sfilati davanti a un Grand Jury, oltre a Pence e a molti stretti collaboratori di Trump, anche il capo dello staff alla Casa Bianca Mark Meadows, che in documenti in mano agli inquirenti avrebbe ammesso che le accuse dell’allora presidente sulle elezioni truccate erano senza fondamento. Gli 007 trumpiani avevano trovato una manciata di voti attribuiti a persone decedute e nulla più – può capitare che un elettore voti per posta o deponga la scheda in anticipo e poi muoia prima dell’Election Day -.
Anche il genero del magnate, Jarred Kusher, marito di Ivanka, la figlia prediletta, è stato ascoltato: gli inquirenti: volevano sapere bse Trump era consapevole che le sua accuse erano infondate, erano delle menzogne.
Inoltre, sono stati recentemente sentiti testimoni su frodi compiute, o progettate, da persone vicine all’ex presidente per iscrivere nelle liste elettorali di Stati vinti da Biden con stretto margine schiere di falsi Grandi Elettori repubblicani. Nel Michigan, dove Biden s’impose con largo margine, 154 mila voti, 16 persone sono appena state rinviate a giudizio per otto reati, che includono falso e cospirazione per commettere il falso. Fra di loro c’è Meshawn Maddock, un alleato di Trump, all’epoca dei fatti co-presidente del Partito repubblicano del Michigan.
I risvolti sulla campagna elettorale e il fattore Ucraina
Nelle ultime ore, la guerra in Ucraina è tornata ad avere echi nella campagna elettorale repubblicana per Usa 2024: Biden dovrà tenerne conto, specie se il conflitto non si risolverà entro fine anno. Trump, alla Fox, ha ribadito: “Se fossi, presidente metterei fine al conflitto in 24 ore”. Il magnate, che incontrava nello Iowa i suoi sostenitori, ha spiegato: “Conosco Zelensky molto bene, conosco Putin molto bene. Direi loro di trovare un’intesa: voglio solo porre termine all’uccisione di migliaia di persone”.
Invece, il maggiore rivale di Trump per la nomination, il governatore DeSantis, insiste che, per lui, la guerra in Ucraina è “un problema secondario”. “La minaccia principale per noi – dice alla Cnn – viene dalla Cina … Dobbiamo guardare il Mondo non più con l’Europa al centro dei nostri interessi, com’è stato dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’Asia-Pacifico dev’essere per la nostra generazione quello che l’Europa è stata per la generazione della Seconda Guerra Mondiale”.
Le mine vaganti dei Grand Jury
E’ stato lo stesso Trump ad annunciare sul suo social Truth di avere ricevuto la lettera di Smith che gli anticipa il rinvio a giudizio. Ma esperti giudiziari spiegano, sui media Usa, che la vicenda resta complessa: la lettera non è, di per sé, un rinvio a giudizio, ma è una specie di avviso di garanzia e viene insieme all’invito a Trump a comparire di fronte a un Grand Jury per testimoniare (cosa che l’ex presidente, secondo quanto un suo consigliere ha detto al Washington Post, non intende fare).
L’inchiesta si concentra su tre interrogativi: la campagna di Trump commise frodi raccogliendo denaro con affermazioni che le elezioni erano state truccate, sapendo che non era vero?; l’allora presidente sapeva dei falsi Grandi Elettori repubblicani negli Stati in bilico?; come e quanto Trump e i suoi sodali fecero pressioni sul vice-presidente Pence, che presiedeva la plenaria del Congresso, perché rovesciasse l’esito del voto? Dopo il rifiuto di Pence di acconsentire a quello che sarebbe stato un vero e proprio colpo di Stato, i sostenitori di Trump diedero l’assalto al Campidoglio e invasero il Congresso.
I guai giudiziari di Trump, però, non finiscono qui. Un Grand Jury convocato ad Atlanta in Georgia deve decidere a breve se l’ex presidente e i suoi sodali commisero reati nel tentativo di rovesciare l’esito del voto nello Stato, dove Biden vinse con un margine di poco più di mille suffragi. Secondo fonti giudiziarie, Trump, che in una telefonata chiese in modo esplicito alle autorità repubblicane dello Stato di “trovare i voti” per dargli la vittoria, rischia un rinvio a giudizio per estorsione, reato che, in caso di condanna, comporta anni di carcere.
E anche in Arizona è in corso un’inchiesta del genere, che coinvolge alcuni sostenitori di Trump che avrebbero tramato per sovvertire l’esito del voto – Biden s’aggiudicò lo Stato di stretta misura -. Come in Georgia, l’allora presidente avrebbe pure esercitato pressioni sul governatore repubblicano dello Stato Doug Ducey, perché trovasse modo di assegnargli la vittoria. Ma la vicenda ebbe allora minore attenzione mediatica di quella delle Georgia.