Innovazione
Cybersecurity made in Italy: caccia all’eccellenza
Di Valentina Ricci
La trasformazione digitale sta cambiando il nostro modo di vivere. E spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. La tecnologia accompagna le nostre giornate, ma tecnologia significa anche attacchi informatici. Sempre più fastidiosi sia a livello individuale, che collettivo (pensiamo alle imprese o algi Stati nazionali). Una delle tematiche del momento è lo sviluppo della cybersecurity.
Mettendo a sistema le eccellenze di ricerca del settore il Laboratorio Nazionale di Cybersecurity aiuta a creare un ecosistema nazionale favorevole ai cittadini e alle imprese. Il Laboratorio ha 58 hub che impegnano circa 650 tra ricercatori e professori. Al centro del progetto un Osservatorio che raccoglierà i dati, anonimi, e li metterà a disposizione di stakeholder e istituzioni.
Per portare avanti questi progetti un tassello importante è la formazione di giovani talenti. Di questo ha parlato il Direttore del Laboratorio e professore, Paolo Prinetto, ascoltato in Senato in occasione dell’audizione sui profili di sicurezza cibernetica. I progetti messi in campo e a cui l’Italia partecipa sono molti, il professore fa menzione delle Olimpiadi di cybersecurity, del Team Italy che concorre ad eventi internazionali. Ha fatto menzione della Cyber Challenge.it che favorisce l’addestramento in cybersecurity per studenti delle superiori e universitari per formare la generazione di domani di cyberdefender. Un programma che mostra ai giovani una carriera lavorativa nel settore, che accoglie un target di ragazzi dai 16 ai 23 anni in forma gratuita e che li stimola con il format del gaming in modo da dare degli input diversi e con la voglia di avvicinare il più possibile anche le donne così da ridurre il gender gap.
Inoltre il Laboratorio è coinvolto nel progetto Sparta della Commissione Europea, volto a creare una rete europea di competenze per ricerca e innovazione della cybersecurity, perché una cosa è reale, se non sfruttiamo l’opportunità che ci viene data oggi l’Italia rischia di rimanere un fanalino di coda non solo nella Nato ma anche in tutto l’Occidente.
Una possibilità che può diventare concreta se non viene affrontato il tema di sensibilizzazione dei cittadini che in massa ancora non comprendono a pieno quali siano i pericoli ed i vantaggi derivanti dai dati, anche perché come dice Prinetto: “I dati sono parte di noi stessi”. E’ necessario dare delle nozioni di base alla popolazione, definire regole, attivare meccanismi adatti per la diffusione e su questo si sofferma la Presidente di Commissione Pinotti, poiché non è stato ancora preparato un sistema di istruzione della cybersicurezza, effettivamente si potrebbe pensare di usare molti canali media o anche veicolare il messaggio tramite un film o una serie televisive. Una riflessione nata dalla “Regina di scacchi”, serie Tv che sta spopolando su Netflix, che porta a pensare quante persone si siano appassionati al gioco solo dopo aver seguito la storia sullo schermo. Effettivamente un messaggio di questo tipo potrebbe aiutare.
Ma oltre a questo bisogna pensare alla formazione di docenti e soprattutto si deve programmare un aumento delle risorse ed una flessibilità maggiore nelle assunzioni anche delle pubbliche amministrazioni. Occorre un piano speciale come quello che avvenne negli anni ’60 per la chimica, con fondi dedicati, con l’aumento e l’introduzione di concetti di cybersecurity in tutti i corsi, perché tutti devono sapere quali sono i pericoli a cui si va incontro. Al fare di tutta l’erba un fascio, nel senso positivo del termine in cui nessuno deve rimanere indietro, il Senatore Ortis pone una riflessione per le persone che hanno passato i 50 anni e che con l’avvento di Facebook rischiano di cadere spesso nelle fake news, un problema in cui incorrono in molti. Proprio per far fronte a questo Prinetto propone una cyber range, ossia delle esercitazioni, per addestrare gli operatori nel distinguere le notizie vere da quelle false e per fare questo bisogna stilare un percorso di formazione da progettare.
Infine viene affrontato il timore è che ci possa essere una sovrapposizione tra profili di sicurezza e il servizio di intelligence del Paese e quindi, con le parole della Pinotti: “E’ possibile sviluppare competenze cyber non incorrendo in profili di sicurezza nazionale che dovrebbero essere a capo di altre entità?”. La formazione non è necessariamente intersecata con l’intelligence, che da sempre ha i suoi percorsi e non solo per la ricerca, ma con un impatto sulla sicurezza nazionale. Mentre l’istituto è l’anello mancante volto ad arrivare a livello europeo.