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Arnaldo Forlani: l’ultimo Uomo di Partito
Di Pietro Cristoferi
Si è spento a 97 anni, Arnaldo Forlani, cuore pulsante della Democrazia Cristiana. Tenutosi lontano dalla seconda repubblica dopo il fatidico 1992, possiamo ora cristallizzare nella nostra memoria il suo impegno nel partito dallo scudo crociato.
Forlani, nasce a Pesaro nel 1925 e la prima cosa che viene sempre ricordata di lui era che aveva un buon piede e giocava mezzala in Serie C nella Vis Pesaro. Il tutto abbandonato per seguire un sogno, una passione, un ideale: quello che veniva incarnato dalla politica con la nascente DC.
Il ruolo di mezzala gli è sempre calzato bene: infatti impostare il gioco e le azioni di attacco è sempre stato il suo forte rimanendo, in apparenza, un passo indietro. Tutti ricordano come affermasse che si poteva “governare senza sembrare di stare al governo”.
Dagli inizi come dirigente della sezione “Studi, Propaganda e Stampa” (S.P.E.S.) del partito (quando nei partiti si studiava), fino all’affrancamento con Amintore Fanfani, un legame che gli valse tra gli amici di partito il soprannome di “Lin Piao di Fanfani”.
Una sola volta Presidente del Consiglio (1980-1981), tante altre Ministro, 2 volte segretario della DC (1969-1973 e 1989-1992), 2 Presidente del partito (1980-1982 e 1986-1989), oltre che ovviamente deputato e anche europarlamentare.
Forlani era maestro del linguaggio e delle geometrie politiche. In una sua intervista al Corriere della Sera Maurizio Caprara lo interruppe chiedendo: “Presidente, ma lei si rende conto che sta parlando con noi da venti minuti senza dirci assolutamente nulla?”, Forlani non si indispose e disse: “Potrei continuare per delle ore”.
E se delle costruzioni politiche Forlani era carpentiere ma anche architetto, proprio per questa sua capacità di interpretare e costruire della sua segreteria ricordiamo il cd. “Preambolo” del 1970, che aveva l’obiettivo di rafforzare la collaborazione dei partiti di governo con l’idea di estendere la formula di centrosinistra a tutte le amministrazioni locali, spingendo il PSI a interrompere i suoi legami con il PCI.
E poi i “gemelli di San Ginesio” il sodalizio con De Mita, e successivamente il “CAF”, il patto Craxi-Andreotti-Forlani; tutta la sua azione politica sempre insieme a quelli che a seconda dell’andare e del divenire delle correnti tormentate interne alla DC talvolta erano amici, talvolta quasi nemici. Ma tutto sempre comunque accettato e compreso, perché è negli schemi di gioco e nelle geometrie della politica primo repubblicana.
C’è poi quel soprannome che il Giornale di Indro Montanelli gli affibbiò “Coniglio mannaro”, al quale a quanto pare si era affezionato perché, a suo parere, diceva tutto del suo carattere tenace e al tempo stesso mite.
La DC l’ha così tanto amata che l’ha servita fino a quel fatidico 1992 come ultimo segretario della Balena bianca prima della dissoluzione del partito con Martinazzoli. In quegli anni saltò per lui la corsa alla Presidenza della Repubblica e fu successivamente anche l’unico a pagare le conseguenze a livello giudiziario con lo scandalo di Tangentopoli. Vicenda, a parere di tanti ingiusta, che lo segnò profondamente, ma che accettò come era solito dire “socraticamente”.
Se ne va la mezzala, se ne va l’ultimo uomo di partito.