Per il Mes, l’Italia può aspettare. Questa l’unica conclusione “ratificata” dal nostro governo. Nonostante la pressione europea, Giorgia Meloni a Bruxelles ha preso tempo. Decisione convalidata dal Parlamento nelle stesse ore, quando la Camera nella mattinata di venerdì ha approvato la sospensiva per la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità valida per altri quattro mesi. Il governo sta temporeggiando per ritardare il più possibile il voto definitivo sulla ratifica della riforma per concludere prima due negoziati importanti e delicati che sono in corso con le istituzioni europee: quello per lo sblocco delle rate del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, e quello per la modifica delle regole europee sui bilanci, il cosiddetto Patto di stabilità. Ma quello che più pesa è il fallimento del tavolo sui migranti, a causa del veto posto da Ungheria e Polonia, malgrado l’intermediazione del premier italiano. Il Patto per le migrazioni e l’asilo, raggiunto l’8 giugno scorso dai ministri dell’Interno, prevedeva infatti l’obbligo di solidarietà, con ricollocamenti o – in alternativa – il versamento di compensazioni. L’accordo era stato approvato a maggioranza qualificata, con la contrarietà di Varsavia e Budapest. I due leader, il polacco Mateusz Morawiecki e l’ungherese Viktor Orban, hanno insistito sull’unanimità: secondo loro, le questioni che riguardano le migrazioni non possono essere approvate solo a maggioranza, sulla base delle conclusioni del vertice di giugno 2018. La linea su cui invece l’Italia ha riscosso maggiore consenso è quella della soluzione esterna, ovvero la misura che prevede la risoluzione sostanziale del problema delle migrazioni: l’intervento finanziario e politico dell’Unione europea nei paesi africani, in modo da ridurre a monte i flussi migratori favorendo lo sviluppo di politiche sociali e del lavoro, in modo da creare una valida alternativa a chi decide di emigrare per necessità di carattere economico.È stata una settimana complicata quella del Presidente del Consiglio, caratterizzata fondamentalmente dallo scontro con le opposizioni, che negli ultimi giorni si è particolarmente polarizzato. Il confronto più acceso è stato quello di mercoledì nell’aula di Montecitorio, dove si è dovuta smarcare tra gli attacchi di PD e M5S sul ruolo che l’Italia sta assumendo in Europa. Un botta e risposta dai toni alti, che tutto sommato rivela una evidente realtà: in entrambi i fronti ci sono ragioni di nervosismo. Il centrodestra, seppur compatto e unito, è alle prese con distanze ideologiche tra le sue componenti proprio sul Mes (Lega e FdI più recalcitranti rispetto a Forza Italia) ed è agitato anche dal fermento che caratterizza la terza gamba della coalizione, Forza Italia, entrata nel vivo della sua fase pre-congressuale, che potrebbe comportare alterazioni degli equilibri di maggioranza. Il centrosinistra, invece, deve fare i conti con un calo di consensi dopo la nuova sconfitta elettorale in Molise e con un dialogo controverso tra le sue due principali anime, PD e M5S, compagni di viaggio che sembrano faticare a trovare unione ed equilibrio.Sul fronte estero gli obiettivi dei riflettori sono stati puntati sulla missione del cardinale Zuppi, per conto del Vaticano, a Mosca. Una missione difficile, come testimonia già il fatto che né il Presidente Putin né il ministro degli Esteri Lavrov lo hanno ricevuto. “Nessun accordo specifico” è stato raggiunto tra il Cremlino e l’emissario vaticano. “Se necessario, il dialogo continuerà”, aveva detto nel corso della visita il portavoce della presidenza russa Dmitry Peskov commentando con parole poco incoraggianti l’esito dell’incontro più importante della missione, quello con Yuri Ushakov, consigliere per la politica estera di Putin. Anche in merito alle questioni umanitarie su cui si concentrava la visita, dunque, permangono difficoltà. Per non parlare di un’eventuale vera mediazione di pace con Kiev, che la Santa Sede ha sempre escluso. A scanso di equivoci, comunque, è stato sempre Peskov a mettere le cose in chiaro: “Sfortunatamente, finora non ci sono le condizioni” per una soluzione politica o diplomatica al conflitto, e “quindi l’operazione militare speciale continua”. Il risultato diplomatico è quindi fallimentare. Ma dal punto di vista politico si è trattato di un momento di svolta. Mai dall’inizio del conflitto un player del fronte occidentale si era recato prima a Kiev e poi a Mosca per instaurare un dialogo. Il Vaticano è stato il primo.