Questa mattina il premier Giorgia Meloni è intervenuta alla Camera per aggiornare i deputati sulla posizione dell’Italia al prossimo Consiglio europeo. Tanti i temi toccati, tra cui le riflessioni sulla situazione russa. Di seguito il discorso integrale.
Comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista della riunione del Consiglio europeo del 29 e 30 giugno 2023.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche il prossimo Consiglio europeo, il quarto da quando si è
insediato il nuovo Governo, ha in agenda delle sfide che sono prioritarie per l’Unione europea:
l’aggressione all’Ucraina, l’economia, la sicurezza, la difesa, la migrazione, le relazioni esterne. E del
resto non è mutata la complessità della fase che l’Europa, l’Occidente e il sistema internazionale nel
suo complesso, stanno vivendo.
La sicurezza, in tutti gli ambiti, compreso quello sociale ed economico, rimane la priorità del nostro
lavoro quotidiano. La difesa della sicurezza e, conseguentemente, della libertà non può prescindere
dal partenariato strategico che lega Unione europea e NATO. Per questo, in vista di un altro
importante appuntamento, il vertice NATO dell’11 e del 12 luglio a Vilnius in Lituania, giovedì 29
giugno è previsto, prima dell’avvio dei lavori a 27 del Consiglio europeo, un incontro di lavoro con il
Segretario generale della NATO, Stoltenberg. In quell’occasione, il Consiglio ribadirà l’impegno
dell’Unione come partner e fornitore di sicurezza globale, in complementarietà con l’Alleanza
atlantica, per attuare la Bussola strategica e avanzare sui regolamenti per il rafforzamento
dell’industria europea della difesa, anche mediante acquisti comuni. Si aprirà quindi un Consiglio
europeo che dovrà esprimere segnali ambiziosi di un’Europa capace di proteggere imprese e
cittadini. Tema centrale, soprattutto grazie all’impegno italiano, sarà quello delle migrazioni. Sul
punto, voglio innanzitutto unirmi al cordoglio per la recente tragedia avvenuta al largo delle coste
greche, rinnovando, a nome del Governo, la nostra vicinanza ai familiari delle vittime e il nostro
impegno in ogni sede per stroncare il disumano traffico di esseri umani, che continua a mietere
vittime nel Mediterraneo. Al Consiglio europeo straordinario di febbraio scorso, grazie all’azione
dell’Italia, finalmente è stato riconosciuto da tutti gli Stati membri e dalle istituzioni europee che la
migrazione è una sfida europea e, dunque, richiede risposte europee e, sempre grazie al nostro
lavoro, si fa sempre più strada l’approccio che mira a superare la storica contrapposizione tra
movimenti primari e movimenti secondari e tra Paesi di primo arrivo e Paesi di destinazione. Se non
si affronta, cioè, a monte il tema della difesa dei confini esterni dell’Unione europea, se non si
contrasta l’immigrazione illegale prima che giunga sulle nostre coste, è impossibile realizzare una
politica di migrazione e di asilo giusta ed efficace. E una civiltà come la nostra non può lasciare agli
schiavisti del XXI secolo, trafficanti senza scrupoli che lucrano sulle vite umane, il potere di decidere
chi entra e chi no in Europa. L’immigrazione irregolare di massa non ha niente di umano e di solidale
e colpisce i più deboli, i più fragili, a partire da coloro che avrebbero diritto ad essere accolti. Questo
cambio di passo significa soprattutto mantenere alta l’attenzione dell’Unione europea nei confronti
dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e dell’Africa, coniugando la lotta ai trafficanti con
politiche di sviluppo. Il rapporto con i Paesi di origine e di transito deve essere considerato prioritario
e deve concretizzarsi attraverso partenariati equilibrati, finanziati con risorse adeguate, tema che
intendiamo porre nel quadro della revisione del bilancio settennale dell’Unione. Un approccio del
quale è pioniere il nostro Piano Mattei per l’Africa, un obiettivo strategico che è stato lanciato da
questo Governo, sul quale molti Stati europei hanno manifestato il loro interesse e il loro
apprezzamento. Si comincia cioè a comprendere che, se si vuole affrontare alla radice il problema
dell’immigrazione, ci si deve porre il tema dello sviluppo dell’Africa, con la sua popolazione in
crescita, le sue sfide e le sue opportunità. È una vasta regione che possiede risorse, a partire da
quelle energetiche, cruciali per l’Europa, che tuttavia dovrebbero prima di tutto andare a beneficio
dei popoli che ne sono detentori. Il suo sviluppo che deve essere finalizzato a valorizzare il capitale
umano e la crescita di un tessuto produttivo locale, solido e autosufficiente. L’obiettivo è ambizioso,
ma molto chiaro: garantire prosperità, pace e amicizia duratura, con un modello di cooperazione
allo sviluppo che deve essere paritario e non predatori.
Anche per questo, nelle ultime settimane, mi sono impegnata, il Governo si è impegnato, mi sono
impegnata personalmente con le recenti missioni del 6 e dell’11 giugno, quest’ultima con la
Presidente della Commissione von der Leyen e il Premier olandese Mark Rutte, perché l’Europa
mantenesse alta l’attenzione sulla stabilità della Tunisia, obiettivo fondamentale per la sicurezza
dell’intero Mediterraneo e, conseguentemente, dell’Europa. L’adozione della Dichiarazione
congiunta UE-Tunisia e il lavoro che continua in queste ore per giungere alla definizione di un
pacchetto europeo a sostegno di Tunisi rappresentano un segnale molto importante e sono, per
questo, grata alla Commissione per il lavoro che sta portando avanti. Così come saluto con
soddisfazione che questa priorità sia stata riconosciuta come punto a sé nell’agenda di politica
estera di questo Consiglio europeo.
L’Europa oggi riconosce, finalmente, che la stabilità dei Paesi del Nordafrica è anche un problema
del nostro continente, ma serve anche un segnale nel Consiglio europeo per consolidare, con
ulteriori progressi in vista del negoziato con il Parlamento europeo, l’intesa che è stata raggiunta al
Consiglio Affari interni e giustizia sulle proposte di regolamento in materia di asilo e immigrazione,
volte a superare le regole di Dublino, regole che, ormai, sono considerate da tutti superate, ma che,
per nazioni, come la nostra, che difendono i confini esterni dell’Unione europea, diventano
addirittura, potenzialmente, rischiose, perché ci espongono a flussi illegali crescenti, con il portato
di tragedie che continuiamo a vedere nel Mediterraneo.
Le proposte che abbiamo concordato, certamente da perfezionare, fanno, però, nella giusta
direzione: rendono le responsabilità per i Paesi di primo ingresso più sostenibili, valorizzano il
concetto di Paese terzo sicuro, prevedono un meccanismo di solidarietà permanente e vincolante,
pur con gli elementi di flessibilità nei suoi contenuti; proponevano che gli Stati che dovessero
rifiutare i ricollocamenti dei migranti pagassero quelli che dovevano ricollocare i migranti. Ma io non
avrei mai accettato di essere pagata per trasformare l’Italia nel campo profughi d’Europa. Quello
che abbiamo chiesto ed ottenuto è che quelle risorse alimentino, invece, un fondo per difendere i
confini esterni, non per gestire l’immigrazione illegale, ma per contrastarla.
Il vero nodo della questione, per noi, rimane uno: distinguere i migranti economici da chi ha diritto,
invece, alla protezione internazionale. Sono due materie molto diverse che, per anni, sono state
colpevolmente sovrapposte e questa mancata distinzione, che era, soprattutto, figlia di calcoli
ideologici, ha avuto il paradosso di indebolire enormemente la possibilità di aiutare chi ne aveva
diritto per favorire le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani. Per noi la
difesa dei confini esterni è l’aspetto fondamentale: chi ha dato fiducia a me e a questo Governo si
aspetta risultati concreti nel contrasto all’immigrazione irregolare e li avrà, e non importa se servirà
tempo per ottenerli, perché i risultati ai quali stiamo lavorando saranno strutturali e duraturi.
Questo è l’impegno che ci siamo assunti, questo è quello che faremo.
E voglio dire che sono fiera di essere arrivata alla guida di questa Nazione quando era lanciata a folle
velocità verso la cancellazione dei confini nazionali, il riconoscimento del diritto inalienabile alla
migrazione e, quindi, ad essere accolti in Europa senza vincoli e senza distinzioni, il divieto di
adottare qualsiasi misura di contenimento dell’immigrazione illegale, arrivando perfino a legittimare
chi sperona le navi dello Stato italiano, e di ritrovarmi oggi a rappresentare una Nazione che si fa
portatrice di una visione diametralmente opposta. E, quindi, considero molto significativo il capitolo
delle conclusioni del Consiglio che viene dedicato alle relazioni esterne dell’Unione europea,
elemento che ci consentirà di ribadire l’importanza di rilanciare la discussione in seno all’UE sui
rapporti con la sponda Sud. L’Italia ha presentato, con il sostegno degli altri partner Med 9, un
documento di posizione sul rilancio delle relazioni tra l’Unione europea e il Vicinato Sud, che
contiene proposte concrete per rafforzare il partenariato in tre settori strategici: energia, per
l’appunto, migrazione e transizione verde. Auspichiamo che un incontro Unione europea e Vicinato
Sud possa tenersi sotto la presidenza spagnola a livello di vertice dei Capi di Stato e di Governo. Il
Consiglio europeo esprimerà inoltre il sostegno dell’Unione europea a una presenza rafforzata
dell’Unione africana nei fori internazionali, specialmente nel G20 e in linea con gli obiettivi della
nostra presidenza G7 nel 2024 ribadirò l’importanza per l’Italia di rilanciare il ruolo dell’Africa in
questi consessi. Per questo ci siamo subito espressi a favore dell’inclusione permanente dell’Unione
africana nel G20, perché riteniamo che sia necessario aggiungere una nuova autorevole voce nella
ricerca di soluzioni comuni alle sfide globali. Tratteremo ancora una volta in questo Consiglio
europeo dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina. L’Italia ha seguito con grande
attenzione insieme ai suoi alleati gli sviluppi della crisi interna alla Federazione Russa. Senza volerci
addentrare in commenti su fatti interni alla Russia, mi limito a notare come questo episodio abbia
contribuito a fare emergere in maniera evidente le difficoltà che sta attraversando il sistema di
potere di Putin e a smontare la narrazione russa, secondo la quale in Ucraina stia andando tutto
secondo i piani. Come sappiamo la situazione è in evoluzione, anche a seguito delle ultime
dichiarazioni dei vertici russi che riguardano il tema della brigata Wagner e il dispiegamento dei suoi
uomini nei diversi scenari di guerra, un tema che per noi chiama in causa anche l’Africa, dove la
presenza di Wagner è molto significativa. L’Unione europea confermerà il suo convinto sostegno al
popolo ucraino, che si batte da 16 mesi per la libertà e l’indipendenza della propria Nazione. La
chiara posizione del Governo italiano è riconosciuta e apprezzata dai nostri partner e rafforza il peso
della nostra Nazione nei contesti europei e internazionali. Di questo penso dovremmo andare tutti
fieri, non solo il Governo, ma l’intero Parlamento e la Nazione nel suo complesso. Voglio ribadire la
mia ferma convinzione che difendere l’Ucraina vuol dire oggi difendere l’interesse nazionale italiano,
perché la capitolazione dell’Ucraina porterebbe con sé il crollo del diritto internazionale e il sistema
di convivenza tra Stati, nato con la fine della Seconda guerra mondiale. Se noi non avessimo aiutato
gli ucraini, come anche qualcuno in quest’Aula suggerisce probabilmente per interessi di
propaganda, se gli ucraini non avessero stupito il mondo con il loro coraggio, noi oggi ci troveremmo
in un mondo nel quale alla forza del diritto si sostituisce il diritto del più forte, un mondo nel quale
chi è militarmente più potente può liberamente invadere il suo vicino, un mondo molto più instabile,
molto più pericoloso. E in un mondo senza regole, se non quella delle armi, l’Europa e l’Italia
avrebbero solo da perdere. Il nostro auspicio è che si possa giungere il prima possibile a una pace
giusta e duratura nel pieno rispetto del diritto internazionale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.
A questo obiettivo continuiamo ovviamente a lavorare con impegno in ogni sede internazionale.
L’Italia continuerà a sostenere gli sforzi volti a garantire che i crimini internazionali commessi
nell’ambito dell’aggressione ai danni dell’Ucraina siano perseguiti in primis attraverso il lavoro
indipendente della Corte penale internazionale. Penso su tutti al rapimento e alla deportazione in
Russia di migliaia di bambini ucraini, di cui non si hanno più notizia, perché da madre è certamente
uno degli aspetti che più mi hanno segnato in questa terribile vicenda. Il sostegno finanziario
europeo a Kiev resta solido e proseguirà di pari passo con la ricostruzione del Paese aggredito.
Lo strumento proposto dalla Commissione, il cosiddetto New Ukraine Facility, dimostra che la
comunità internazionale guarda tutta nella stessa direzione; cioè, oltre questa guerra, oltre quel
nemico, oltre quell’ingiustizia, noi guardiamo a un’Ucraina ricostruita, e l’Italia ha tutte le carte in
regola per giocare un ruolo da assoluta protagonista, come ha dimostrato con la Conferenza
bilaterale sulla ricostruzione, che abbiamo celebrato il 26 aprile scorso, e che ha permesso di portare
a Roma il meglio dei sistemi imprenditoriali delle due Nazioni. Noi scommettiamo su un futuro di
pace e di prosperità per l’Ucraina e sull’integrazione europea di questa Nazione, perché sosterremo
con forza il diritto degli ucraini a essere parte integrante della famiglia europea. L’Italia assicura
sostegno all’Ucraina anche attraverso la cooperazione allo sviluppo, così come sul contrasto alle
gravi ripercussioni sulla sicurezza alimentare che il conflitto ha causato. Accogliamo con sollievo la
proroga dell’Accordo Black Sea Grain Initiative e plaudiamo agli sforzi profusi dall’Europa per
assicurare la continuazione del Programma Solidarity Lanes. Tuttavia, sarà necessario trovare una
soluzione duratura che garantisca il libero flusso dei prodotti agricoli nel Mar Nero, e confermiamo
anche su questo il nostro totale impegno.
Seguiamo con grandissima attenzione e sosteniamo pienamente gli incessanti sforzi all’azione
diplomatica del direttore generale dell’AIEA, Grossi, per garantire la sicurezza nucleare in Ucraina.
Dopo l’atto criminale che ha causato l’esplosione della diga di Nova Kakhovka, siamo preoccupati
anche che anche la centrale di Zaporizhzhya possa essere usata come strumento di guerra, ed è
dovere di tutta la comunità internazionale vigilare affinché una tale catastrofe non avvenga. Ci
auguriamo che la recentissima visita di Grossi a Kiev e Zaporizhzhya possa aprire la strada a progressi
concreti, pur in un contesto che sappiamo essere particolarmente difficile.
Rimanendo con lo sguardo alla frontiera Est, desidero fare un cenno anche a quanto stiamo facendo
per la Moldova, di cui sosteniamo il processo europeo, incoraggiandola ad adempiere pienamente
alle condizioni individuate dall’UE. Ma in quel processo, che a me non piace definire allargamento,
ma piuttosto riunificazione – perché, come diceva San Giovanni Paolo II, “l’Europa ha bisogno di
respirare con due polmoni, quello dell’Occidente e quello d’Oriente” -, noi dobbiamo assicurare il
rispetto delle regole per tutti, evitando percorsi prioritarie a favore dei nuovi candidati, a discapito
dei vecchi, e mi riferisco in particolare ai Paesi dei Balcani occidentali.
La guerra in Ucraina ha avuto un impatto evidente sulle economie del continente, a maggior ragione
sono quindi fondamentali i segnali che, sull’economia, ogni Consiglio europeo – e quindi anche
questo – riesce a dare, per assicurare un vero sostegno, con parità di condizioni, alle imprese del
nostro continente. Una politica industriale europea che preservi il mercato unico è inseparabile da
un approccio europeo alla competitività; è sotto gli occhi di tutti come, senza finanziamenti europei
erogati indipendentemente da capacità fiscali nazionali, si rischi solo di aumentare le disparità,
favorendo alcuni Paesi, a discapito di altri. La Commissione europea ha presentato, il 20 giugno, una
proposta di piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Unione, denominata STEP (Strategic
Technologies for Europe Platform), con un portale di sovranità che non solo ha come obiettivo
semplificare le informazioni e le procedure per i finanziamenti europei, ma concede flessibilità
nell’uso dei fondi europei per favorire e finanziare gli investimenti nei settori strategici. Si tratta di
una richiesta che l’Italia aveva avanzato già a febbraio e che, su nostro impulso, era allora stata
inserita nelle conclusioni del Consiglio.
La proposta della Commissione è un importante punto di partenza per il negoziato, al quale
ovviamente l’Italia intende contribuire per arrivare a un accordo in tempi rapidi. Questo strumento
costituisce per noi, come dice la parola STEP, un primo passo per arrivare a un fondo europeo per
la sovranità, strumento fondamentale per affrontare con risorse adeguate sfide come le transizioni
verde e digitale, la difesa, la salute, sfide, cioè, che ci impegneranno almeno per i prossimi tre
decenni. C’è poi il tema della riforma della governance economica, che per il Governo italiano deve
avere come principale obiettivo il sostegno alla crescita, perché senza sostegno alla crescita non si
può neanche garantire stabilità.
La riforma deve garantire, a nostro avviso, la protezione degli investimenti nei settori strategici, in
particolare transizione verde, transizione digitale e difesa, e deve prevedere procedure semplificate
e veloci per le nostre imprese. L’intenso lavoro diplomatico che stiamo svolgendo con i partner è
volto soprattutto a superare vecchie contrapposizioni e a porre fine, una volta per tutte, alla
stagione dell’austerità, pur senza venir meno a quella disciplina di bilancio sulla quale il Governo
italiano ha dimostrato serietà fin dalla manovra finanziaria, con buona pace dei gufi che
preconizzavano catastrofi di ogni. È una partita complessa, sulla quale credo che l’Italia abbia
obiettivi in questo caso condivisi dalla gran parte delle forze politiche, che sono stati oggetto di
sostegno bipartisan già con i Governi precedenti. Per questa ragione voglio dire con serenità, ma
anche con chiarezza, che non reputo utile all’Italia alimentare in questa fase una polemica interna
su alcuni strumenti finanziari, come ad esempio il MES. L’interesse dell’Italia oggi è affrontare il
negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto, nel quale le regole del
Patto di Stabilità, il completamento dell’unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria
si discutano nel loro complesso, nel rispetto del nostro interesse nazionale. Prima ancora di una
questione di merito, c’è una questione di metodo su come si faccia a difendere l’interesse nazionale
italiano. Il Consiglio europeo si occuperà anche di sicurezza economica, obiettivo prioritario nella
recente proposta della Commissione europea. Sicurezza economica intesa come promozione di
competitività e crescita, protezione dell’industria, vigilanza sugli investimenti e le tecnologie
sensibili, protezione delle filiere produttive dell’Unione, sviluppo di capacità industriali e
innovazione sul nostro territorio, rafforzamento e maggiore controllo delle nostre catene di
approvvigionamento. Insomma, tutto quell’approccio sulla difesa e il controllo delle proprie catene
produttive, sulla propria autosufficienza, che qualche tempo fa qualcuno avrebbe bollato, diciamo
in maniera un po’ semplicistica, come un approccio autarchico, ma che in realtà era semplicemente
l’approccio realistico di chi capisce che l’Europa ha necessità e bisogno di controllare le sue catene
di approvvigionamento e di non essere sempre più esposta a dipendenze che diventano pericolose.
Nella discussione sull’economia si farà poi riferimento all’avvio a breve del percorso di revisione di
medio termine del bilancio settennale dell’Unione, il cosiddetto Quadro finanziario pluriennale, e
nei giorni scorsi noi abbiamo presentato un documento di posizione, evidenziando gli aspetti che
sono per l’Italia di maggiore interesse. Il bilancio dell’Unione dovrà tenere conto della situazione di
grande instabilità geopolitica nel Nord Africa, come dicevamo, ma anche, specie in rapporto al
debito di Next Generation EU, all’aumento continuo dei tassi di interesse.
Il bilancio dell’Unione dovrà tenere conto della situazione di grande instabilità geopolitica nel Nord
Africa, come dicevamo, ma anche, specie in rapporto al debito di Next Generation EU, all’aumento
continuo dei tassi di interesse.
Certo, i cittadini degli Stati dell’Eurozona avevano quasi dimenticato cosa fosse l’inflazione; ora, è
tornata a colpire le nostre economie e ci ricordiamo di come sia una odiosa tassa occulta, che
colpisce soprattutto i meno abbienti e chi ha un reddito fisso, dai lavoratori ai pensionati. Per questo
è certamente giusto combatterla con decisione, ma la semplicistica ricetta dell’aumento dei tassi,
intrapresa dalla Banca centrale europea, non appare agli occhi di molti la strada più corretta da
perseguire, considerato che nei nostri Paesi l’aumento generalizzato dei prezzi non è figlio di una
economia che cresce troppo velocemente, ma di fattori endogeni, primo fra tutti, la crisi energetica
causata dal conflitto in Ucraina. Non si può non considerare il rischio che l’aumento costante dei
tassi finisca per colpire più le nostre economie che l’inflazione e cioè che la cura si riveli più dannosa
della malattia.
Probabilmente, è più utile concentrarsi – riteniamo – sulle cause specifiche che scatenano questa
inflazione, proseguendo nelle misure di contenimento dei prezzi dell’energia e delle materie prime
che l’Europa ha messo in atto; ricordo il tema del price cap, grazie, soprattutto, all’attivismo
dell’Italia.
Di grande portata sarà, poi, anche la componente di politica estera, le cosiddette relazioni esterne,
in questo Consiglio. È prevista una discussione sulla Cina; il futuro delle relazioni con Pechino è
oggetto di un intenso dibattito a livello UE. Certo, andrebbe, a monte, aperto un lungo capitolo sulla
miopia con la quale anche l’Unione europea ha gestito le conseguenze dell’ingresso della Cina
nell’Organizzazione mondiale del commercio. Come ha lungamente spiegato il presidente Tremonti,
il commercio, per essere davvero vantaggioso per tutte le parti, deve essere non solo libero, ma
deve essere anche equo. Ma oggi, più pragmaticamente, dobbiamo prendere atto che quella cinese
e quella europea sono economie per molti aspetti interdipendenti, il cui rapporto è stato spesso
viziato da pratiche distorsive e dovrebbe invece evolvere verso standard e regole comuni. In questo
contesto, se, da un lato, il disaccoppiamento non è un’ipotesi percorribile, dall’altro, lo è ridurre il
rischio, sostenere con forza la competitività del nostro sistema produttivo e la resilienza delle nostre
catene di approvvigionamento per non cadere in nuovi, deleteri legami di dipendenza.
Non solo, sul piano geopolitico la Cina è diventata un interlocutore imprescindibile nelle relazioni
internazionali, anche laddove la sua leadership politica sembra spesso perseguire un diverso ordine
internazionale, ed è un attore imprescindibile per dare adeguate risposte ad alcune sfide globali
(pensiamo al clima), perché è evidente che non possiamo affrontare sfide, come quella climatica,
gravando solo e unicamente sulle nostre economie.
Per tutte queste ragioni, intendiamo perseguire con la Cina un rapporto che, lungi dall’essere ostile,
vuole però essere maggiormente equilibrato. La Cina è a tutt’oggi un rivale sistemico e chiama
l’Unione europea ad essere, da una parte, ferma nella difesa dei propri valori e dell’ordine
internazionale basato sulle regole e, dall’altro, pragmatica nel perseguimento dei propri interessi
economici e nel confronto sulle sfide globali.
Nelle conclusioni del Consiglio vi sarà, inoltre, un riferimento alla preparazione del vertice UE-CELAC
del 17 e 18 luglio prossimi, grande opportunità per rilanciare le relazioni tra Europa e America Latina,
due regioni storicamente legate da radici culturali comuni, come noi italiani – grazie alle nostre
radicate e folte comunità di italiani che vivono in quelle terre – sappiamo meglio di altri.
In questo contesto, non si può, però, non notare e non farlo con preoccupazione il deterioramento
della situazione della democrazia, del diritto, della libertà religiosa e più in generale dei diritti umani
in molti Stati dell’America Latina.
Vi sarà un riferimento anche alla ferma condanna del Consiglio europeo dei violenti incidenti nel
nord del Kosovo a fine maggio e alla necessità di un’immediata de-escalation della tensione e di
ripresa del dialogo facilitato dall’UE tra Belgrado e Pristina. Confermo l’impegno italiano per la pace
e la stabilità del Kosovo e di tutta l’area dei Balcani occidentali, a cui stiamo dedicando molte, molte,
energie.
Voglio a questo proposito ribadire – e mi avvio alla conclusione – l’indignazione italiana per l’attacco
di fine maggio a danno della missione KFOR, che ha coinvolto anche militari italiani. A loro, come a
tutti gli uomini e le donne in uniforme che onorano il tricolore, difendendo ovunque nel mondo pace
e democrazia, va il nostro grazie a nome dell’Italia intera.
A loro e a tutti i cittadini italiani che ci seguono voglio dire che in tutti i consessi europei e
internazionali viene oggi riconosciuto all’Italia il ruolo di una Nazione solida, di una Nazione
credibile, di una Nazione affidabile, forte delle sue ragioni e dei suoi interessi, forte della sua
tradizione di dialogo e del suo ruolo geopolitico. Lo dico con orgoglio, anche pensando ai molti che,
strumentalmente, preconizzavano o scommettevano su un’Italia a guida centrodestra che sarebbe
stata isolata a livello internazionale. I risultati, anche stavolta, smentiscono i pronostici. E ci
responsabilizzano a fare sempre di più, a fare sempre meglio, consapevoli, come siamo, che un’Italia
forte e credibile fuori dai confini nazionali significa soprattutto un’Italia capace di affermare gli
interessi e i bisogni dei suoi cittadini. Vi ringrazio