In Parlamento
Ratifica Mes, il 30 giugno testo alla Camera. Tutte le questioni
Di Giampiero Cinelli
Proviamo per un attimo ad andare oltre la cronaca, cercando di spiegare cosa ci sia dietro a questa – per l’opinione pubblica insensata – chiusura del governo sulla ratifica della riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Davvero è tutta propaganda e comunicazione politica, in parte obbligata dalle posture adottate in passato dagli schieramenti ora nell’esecutivo? Realmente Giorgia Meloni intende operare contro gli interessi dell’Italia? Sul tema, molto complesso e specialistico, che qui tratteremo a grandi linee, si possono serenamente avere opinioni contrastanti e non è affatto detto che il premier stia facendo la cosa giusta, ma certamente la questione è molto più sfaccettata di come la si presenta.
Intanto gli elementi di attualità: ieri i membri della maggioranza non si sono presentati in Commissione Esteri dove si votava il testo base (a firma Pd) per la ratifica del Trattato Mes riformato. Il documento è passato con il voto del Pd, di Iv e di Azione. Il M5S si è astenuto, anch’esso da sempre scettico nei confronti dello strumento. L’approdo in Aula per il voto di ratifica è fissato al 30 giugno, c’è tempo fino a mercoledì per presentare emendamenti e si pensa che il centrodestra lo farà. Sempre ieri, tra l’altro, il Cdm è saltato, Meloni ha incontrato il governatore di Banca D’Italia Ignazio Visco, Matteo Salvini ha visto in veste non formale Giorgetti, ministro dell’economia, a pranzo. Per la ratifica manca solo l’Italia, senza la quale la riforma del Mes non può entrare in vigore.
La situazione generale
Dunque come mai questo ostruzionismo? Molti sapranno che i più critici dell’architettura europea hanno sempre visto il Mes come uno strumento foriero di regole e condizionalità dannose per i Paesi più indebitati. C’è chi ne ha fatto uso senza problemi, come Spagna, Portogallo e Irlanda. Ma pesa come un macigno sulla psicologia di massa e sulle valutazioni politiche il caso Grecia, che attraverso (anche) il Mes ha pagato uno dei pegni più onerosi e dolorosi mai visti nella storia recente. Chiaramente l’Italia non è la Grecia, ma ha un alto debito, e nessuno può davvero prevedere cosa significherebbe per noi accedere a un prestito del Fondo, che peraltro con la riforma sarebbe, nei confronti dei Paesi con maggior rischio finanziario, a condizioni rafforzate anziché agevoli, previste invece per i Paesi solidi.
Il rapporto con i mercati
Inoltre, un argomento più teorico ma interessante, è quello secondo cui, se l’Italia manifestasse la volontà di ricevere assistenza finanziaria, darebbe il segnale ai mercati che i suoi bilanci non sono sicuri e ciò potrebbe innescare tensioni pericolose, quando invece, come abbiamo visto, nonostante la brutta nomea e un passato talvolta burrascoso, l’Italia ha sempre fatto fronte ai suoi impegni verso i creditori.
L’Unione Bancaria
L’altro punto è quello che riguarda l’unione bancaria. Un processo che con il Mes viene implementato, introducendo un meccanismo di assistenza alle banche in difficoltà del sistema europeo (il cosiddetto Backstop) in grado di funzionare qualora il già esistente Fondo di sicurezza bancario avesse esaurito le disponibilità, ed in seguito al parere positivo del board del Mes. Ciò però comporta la messa a disposizione di denaro. Risorse che per Giorgia Meloni possono rappresentare un onere improprio, giacché pare le banche italiane siano in generale quelle messe meglio da un punto di vista di affidabilità, a differenza di altri colossi stranieri che però negli anni hanno ricevuto molti più aiuti economici da parte dei governi. In merito Giorgia Meloni dichiarò, durante un’informativa alle Camere: «Di fronte a una crisi, se gli interventi dovessero essere più importanti della sua dotazione (cioè del Fondo di sicurezza) il risultato sarebbe che il Mes si troverebbe a chiamare gli Stati a rifondere per queste crisi. Sarei prudente».
Il nodo Pnrr-Mes
Non dobbiamo ignorare, poi, che l’Italia è già molto esposta sul Pnrr, che non è la stessa cosa del Mes ma tutto sommato significa prestiti condizionati. Anche se il patto è molto meno cogente e insidioso. Sta di fatto che il governo probabilmente vuole limitare le pressioni. Tuttavia può farlo? Secondo le opposizioni, è vana l’idea di sottrarsi, dato che, appunto, sarebbe fuori luogo perseguire modifiche, o trattative, nell’ambito del Pnrr se come contropartita non si accetta il nuovo Mes. Nuovo Mes che, comunque, anche qualora ratificato non va per forza attivato.
Una tattica velata
Allo stesso tempo, però, si comprende la tattica, velata e mai esplicitata, di temporeggiare fin quando non entrerà in vigore il nuovo Patto di Stabilità, nella speranza che a quel punto la riforma del Mes venga accantonata, magari perché il Meccanismo di Stabilità sarà ritenuto non più fondamentale.
Il tema dei rapporti di forza, la fiducia nelle istituzioni europee
Dal punto di vista dell’opposizione, però, c’è il classico tema dei rapporti di forza e della necessità da parte dell’Italia di “accreditarsi al tavolo dei big”. In parole povere, non si può dire di no se vogliamo guadagnarci più rispetto e un trattamento migliore nel consesso europeo. Dato che il nostro Paese non ha mai sufficiente forza contrattuale e i mercati finanziari sono sempre pronti a giudicare. Sempre dal lato dei favorevoli al Mes, vi è la convinzione che i rischi, nel caso di una richiesta di aiuto al Fondo, di un trattamento stile Grecia siano oggi scongiurati e che l’Italia abbia molto più da guadagnare che da perdere nel mettere parte del suo debito sotto l’egida del Mes.
Matteo Salvini lo ha detto: deciderà il parlamento. Fari puntati sulla prossima settimana. Ma l’ufficialità di una potenziale mancata ratifica farebbe eco ben oltre questa stagione.